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L'Italia si mangia il patrimonio

, di Fabrizio Pezzani - ordianrio di programmazione e controllo nelle pubbliche amministrazioni
Nel passato le dismissioni non sono servite a ridurre il debito

La crisi finanziaria ed economica ha costretto tutti gli stati ad intervenire in modo rilevante nell'economia, facendo ricorso all'espansione del debito pubblico per ridurre gli effetti negativi sul mondo delle imprese e sulla società e temperare i conflitti sociali conseguenti; ma l'aumentata dimensione dei debiti pubblici nei vari stati rende più difficile l'uscita dalla crisi e ne condiziona la velocità di recupero. L'Italia si è trovata, rispetto alle altre economie, a fronteggiare il problema partendo da un debito pubblico già elevato in valore assoluto, che è cresciuto fino ai quasi 1.800 mld di oggi con un impatto crescente sulla spesa pubblica per i conseguenti oneri finanziari. Anche in una prospettiva futura, il suo controllo richiede grande prudenza e attenzione gestionale, come mostra l'apprezzata azione del ministro dell'Economia .

Tuttavia la dinamica e la dimensione in valore assoluto del debito pubblico andrebbero viste in una visione più completa, che, in una logica aziendale, deve essere orientata a percepire più correttamente il debito come una componente che contribuisce alla definizione e al valore del capitale netto. Il capitale netto rappresenta, infatti, il valore reale del patrimonio di pertinenza a ogni singolo soggetto privato o pubblico – famiglie, imprese, enti pubblici territoriali, stato – determinato dal valore complessivo dei beni mobili e immobili di proprietà, al netto dei debiti. Il patrimonio netto, così determinato, rappresenta il valore finale a disposizione del soggetto cui pertiene; è pertanto necessario volgere l'attenzione sia al debito sia ai valori complessivi dei beni posseduti per capire la dimensione in divenire del patrimonio netto. La dinamica composizione del patrimonio netto nel tempo diventa importante per capire il livello di indebitamento a cui ci si può spingere per non incidere sul livello di garanzia reale a copertura del debito stesso.Negli ultimi anni il debito pubblico è costantemente cresciuto, così come sarà nei prossimi, ma l'attivo patrimoniale è diminuito per la cessione di beni pubblici. Infatti le entrate correlate, a causa della difficoltà di contenimento della spesa pubblica, sono state prevalentemente usate per favorire il rispetto del rapporto deficit/pil sotto il limite di Maastricht e non per ridurre il debito, con una probabile conseguente diminuzione del patrimonio netto. In altri termini sarebbe come se una famiglia, per tenere un alto tenore di vita, non avendo redditi sufficienti e non essendo in grado di controllare le proprie spese, vendesse nel tempo parte dei beni di famiglia non per ridurre il debito ma per mantenere quel tenore di vita. È del tutto evidente, quindi, la necessità di operare sul controllo del debito avendo chiaro l'obiettivo di mantenere la conservazione durevole del capitale nel tempo anche come sua garanzia, per favorirne il collocamento nel mercato dei capitali. Il controllo del debito, obiettivo perseguito ma mai completamente realizzato da tutti gli esecutivi degli ultimi trent'anni, richiede un ripensamento sulle tecniche più idonee a contenerlo per favorire l'attenzione all'equilibrio economico da cui dipende quello finanziario; per questo vanno attentamente valutate politiche di dismissioni immobiliari. Un efficace sistema di controllo, inoltre, mirante a una maggiore trasparenza specie con riguardo alle aree di rendicontazione sulle risorse impiegate rispetto ai risultati e alle correlate responsabilità, favorisce la riduzione delle tensioni sociali e i conflitti tra territori e può contribuire più efficacemente alla definizione di un bene comune del paese.