L'industria culturale italiana tra import ed export
Il 14 dicembre 1974 veniva istituito in Italia il ministero per i Beni culturali e ambientali, grazie all'opera di Giovanni Spadolini, primo ministro per i Beni culturali e ambientali. In quarant'anni di attività il ministero ha esteso considerevolmente la sua attività (includendo le competenze in materia di attività culturali e spettacolo e in taluni casi quelle relative allo sport e al turismo) e ha conosciuto molteplici riforme amministrative (forse troppe) volte alla razionalizzazione organizzativa interna del ministero stesso. Ancora oggi, tuttavia, sembra che le politiche culturali in Italia vivano contraddizioni insanabili per quanto riguarda la loro formulazione e implementazione: sembra incommensurabile la distanza fra le esigenze di tutela e conservazione del patrimonio artistico-culturale (in senso lato) e le esigenze di valorizzazione (anche economica) e di estensione dell'accesso a tale patrimonio; sembra endemica la carenza di finanziamenti pubblici e privati per tutelare e ravvivare l'immenso patrimonio culturale italiano; sembrano ancora farraginosi l'integrazione e il coordinamento dell'azione di valorizzazione fra il ministero e gli altri soggetti pubblici (altri ministeri, regioni ed enti locali) o privati (imprese, fondazioni, associazioni di volontariato) impegnati nel settore artistico culturale.
Tale stato di cose produce risultati a dir poco schizofrenici soprattutto se visti dall'estero: l'Italia riesce a esportare altissime competenze in materia di recupero dei beni culturali (si veda l'intervento per la ricostruzione del sito dei Buddha di Bamiyan), ma assiste quasi impotente ai crolli di Pompei; le produzioni del Teatro alla Scala e le tournée dell'Orchestra del Maggio Fiorentino sono applaudite da tutto il mondo, ma la maggior parte dei Teatri d'Opera in Italia sono commissariati o sull'orlo del commissariamento; un artista contemporaneo come Giuseppe Penone viene acclamato in Francia per le sue installazioni presso la Reggia di Versailles, mentre una collezione di arte moderna e contemporanea preziosa come Terrae-Motus è sconosciuta ai più, chiusa nelle stanze buie e polverose della Reggia di Caserta.Come possono essere dunque superati gli snodi critici delle nostre politiche culturali? Forse proprio prendendo spunto dall'estero. Da anni, ad esempio, il National Endowment for the Arts (l'agenzia federale statunitense impegnata nel settore artistico culturale) definisce alcuni programmi pluriennali finanziando, all'interno di tali programmi, i progetti proposti da soggetti pubblici e privati selezionati da centinaia di panel di esperti indipendenti. Da anni il finanziamento federale negli Stati Uniti è legato ai risultati ottenuti da queste istituzioni culturali spesso anche nella forma di matching grants, ossia collegando l'ottenimento di risorse pubbliche alla capacità delle istituzioni di raccogliere risorse da privati.Pratiche di questo tipo possono essere importate facilmente anche nel nostro paese per migliorare la capacità di programmazione di politiche pubbliche e lo sviluppo di competenze di raccolta fondi nelle istituzioni culturali. Non occorre peraltro pensare solo alla realtà francese o inglese o dei cultural urban district americani per identificare pratiche di cultural planning volte alla creazione di sistemi territoriali e alla programmazione del 'palinsesto del territorio', di itinerari culturali condivisi, di interventi tesi a valorizzare le risorse culturali locali integrati (a livello di singolo distretto o di provincia). Basterebbe replicare ciò che è stato fatto negli anni duemila nel settore sociale con l'istituzione della pianificazione di zona. Di distretti culturali si è parlato tanto nel nostro paese, ma un'azione seria e forte di incentivazione nella formazione di tali reti culturali di programmazione diventa ora una necessità.