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L'esterofilia puo' fare male anche alla legge elettorale

, di Lorenzo Cuocolo - professore associato di diritto costituzionale
Voto. Pregi e difetti dei sistemi vigenti in Francia e in Germania

Con quale legge torneremo a votare? Ormai se ne discute da mesi, da quando il sodalizio tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini ha cominciato a scricchiolare. Una corrente trasversale, all'interno del Parlamento, ha posto sul tavolo il tema dell'inadeguatezza dell'attuale legge elettorale, sottolineandone i numerosi difetti.

Nel 2005, con la legge n. 270, è stato introdotto un sistema tendenzialmente proporzionale, in sostituzione di quello maggioritario adottato nel 1993 (il cd. Mattarellum), a seguito della stagione referendaria guidata da Mario Segni.I punti maggiormente discussi della legge vigente sono tre: il premio di maggioranza, le liste bloccate e le candidature multiple. Con riferimento al primo profilo, è previsto che la coalizione maggiormente votata ottenga il 55% dei seggi in Parlamento. Il premio è previsto sia alla Camera che al Senato. Nel primo caso, viene calcolato su base nazionale, nel secondo, invece, viene calcolato su base regionale, con la conseguenza pratica di poter avere maggioranze politiche diverse nei due rami del Parlamento ed una conseguente ingovernabilità. Il premio di maggioranza, inoltre, falsa il reale peso delle forze politiche, attribuendo agli schieramenti una consistenza quantitativa non corrispondente con quella qualitativa. Il secondo profilo problematico è rappresentato dalle liste bloccate, che non consentono all'elettore di esprimere la propria preferenza su uno specifico nominativo. L'elenco dei candidati è compilato dalle segreterie di partito, e gli eletti rispecchiano l'ordine di iscrizione in lista. Un terzo profilo discutibile è quello delle candidature multiple, che portano i leader di partito a candidarsi e a venire eletti in numerosi collegi del territorio nazionale. Solo esercitando il diritto di opzione, quindi, consentono ai candidati delle retrovie di questo o di quel collegio di venire eletti, con meccanismi complessivamente poco trasparenti. Come sempre accade, il dibattito sulle riforme induce a invocare l'adozione di modelli stranieri, spesso a sproposito. In questo caso i principali riferimenti sono il sistema francese e quello tedesco. Il primo è un sistema maggioritario, con collegi uninominali a doppio turno. Al primo turno, dunque, i partiti possono presentarsi agli elettori separati, ciascuno con il suo candidato. Si ha l'elezione al primo turno solo ottenendo la maggioranza assoluta dei voti. Altrimenti è necessario il ballottaggio tra i candidati che hanno ottenuto più del 12,5% dei voti al primo turno. È in questo momento che si formano gli apparentamenti e gli accordi elettorali tra le forze politiche, in modo da ottenere il successo al ballottaggio. Il sistema tedesco, invece, è misto: metà dei seggi viene attribuita con metodo uninominale a turno unico; l'altra metà è attribuita con criterio proporzionale, sulla base di liste bloccate. L'iper-rappresentatività è fortemente temperata dalla cd. clausola di sbarramento, che consente l'accesso al riparto dei seggi solo alle forze che abbiano ottenuto almeno il 5% dei voti. Entrambi i modelli, pertanto, mirano a produrre risultati simili. Fra i due, può forse dirsi che il modello francese ha maggiore carattere di selettività, mentre il modello tedesco può portare a formare coalizioni di governo in base ai risultati elettorali.La breve analisi di questi sistemi stranieri mostra come non esista una ricetta universalmente valida, così come non esistono sistemi maggioritari o proporzionali puri: in tutte le democrazie avanzate si ricercano soluzioni di compromesso, volte a bilanciare l'esigenza di avere Camere rappresentative con quella di avere governi sostenuti da maggioranze stabili. Probabilmente, dunque, nel nostro paese sarebbe sufficiente correggere gli aspetti problematici più sopra ricordati, rifuggendo da tentazioni esterofile inutili se non dannose. Ma, soprattutto, la riforma della legge elettorale dovrebbe essere studiata in funzione della forma di governo che si vuole infine ottenere, e non sulla base dei meri calcoli delle convenienze di parte.