L’eredità del Tribunale Onu per l’ex-Iugoslavia va salvaguardata
Con qualche anno di ritardo sull'originale tabella di marcia (2008 per le sentenze di 1° grado e 2010 per l'appello) del Tribunale penale internazionale per la ex-Iugoslavia ci si avvia verso la conclusione della sua attività, prevista ora per il 2012. Una fase che va gestita attentamente per non disperdere l'eredità che ha lasciato, come ha spiegato in un incontro con gli studenti della Bocconi Fausto Pocar, presidente del tribunale ad hoc istituito dal Consiglio di sicurezza dell'Onu nel 1993.
"Il tribunale è stato la prima giurisdizione penale internazionale istituita con l'appoggio globale della comunità internazionale," ha spiegato Pocar, "e, nonostante qualche problema, ha dimostrato che questo è possibile. Ora la sua chiusura si profila all'orizzonte ma normalmente un tribunale non si 'chiude' e ci sono varie problematiche da affrontare, assicurando che l'eredità che questa esperienza lascia non vada dispersa."
Chiusura che si profila dato che dei 161 imputati solo 2 non sono ancora sotto processo e dato che già ai tempi della costituzione del Tribunale si era consci dei limiti nel sostegno finanziario da parte della comunità internazionale e dei limiti temporali legati al fatto che i crimini si fossero verificati all'inizio degli anni '90.
In tale ottica il Tribunale ha adottato varie misure per accelerare i tempi, in primo luogo moltiplicando per due il numero di giudici. In origine, poi, si era deciso che le prove presentate ai processi sarebbero state solo orali ma successivamente sono state ammesse anche prove scritte. C'è stata poi la diatriba tra chi voleva che gli imputati affrontassero tutti i propri capi d'accusa, per dare una dimensione storica dell'accaduto, e chi voleva una riduzione (Milosevic ne avrebbe dovuto affrontare 66) per accelerare i tempi. Alla fine si adottò una norma che consente alla Camera di chiedere, o anche imporre, al procuratore di ridurre l'atto d'accusa. Il Tribunale, ha spiegato Pocar, ha poi rinviato 13 imputati a giudizio presso corti nazionali, imputati di basso livello militare o politico, sempre per accelerare i tempi.
"Spesso si critica la giurisdizione internazionale per la sua lentezza ma le garanzie vanno osservate fino a minimi dettagli e nonostante questo bisogno di accelerare i tempi nessuna di queste modifiche ha derogato il principio di 'equo processo'," ha sostenuto Pocar.
"Ora serve una continuation strategy, più che una completion strategy", ha detto Pocar. In tale ottica il Tribunale ha avviato una maggiore operazione con i tribunali locali attivati in Bosnia e Serbia, per fornire documenti e conoscenze, per proseguire il lavoro. Inoltre, ci sono da affrontare le questioni di eventuali revisioni future delle sentenze, in caso emergessero nuovi fatti, e del monitoraggio della esecuzione delle pene, che va garantita in modo equo, dato che i condannati saranno smistati in carceri di vari paesi europei. Il Tribunale, infatti, sta attualmente ragionando su come affrontare queste problematiche legate alla sua chiusura. Un'opzione in considerazione è quella di costituire un piccolo nucleo permanente per seguire questi fronti aperti, seguendo anche eventuali processi ex-novo.