Leggi inumane uguale leggi inutili
Due secoli fa Benjamin Franklin affermò con lungimiranza che "Chi è disposto a sacrificare la propria libertà per la sicurezza non merita né l'una né l'altra e le perderà entrambe". È una massima d'esperienza che, rispecchiando 200 anni di storia dei diritti umani, fatica ancora oggi a radicarsi. Troppo spesso ricorriamo allo spauracchio della sicurezza per introdurre misure restrittive dei diritti individuali. Rispetto al passato, però, oggi tali misure si rivelano più subdole, perché colpiscono solo alcuni di noi, in particolare gli stranieri.
Matteo Winkler |
Secondo un rapporto Istat del 2012, negli ultimi dieci anni sono entrati in Italia 3 milioni e mezzo di stranieri. I cittadini di paesi non appartenenti all'Unione europea regolarmente presenti in Italia nel biennio 2011-2012 sono quasi 3 milioni e 700 mila unità. Rispetto a 10 anni fa, sono cresciuti del 4,3%. Secondo il 59% degli italiani, gli stranieri sono discriminati, dunque trattati in modo sfavorevole rispetto ai cittadini.
Quest'ultimo dato rivela una latente contraddizione tra la percezione che la società italiana ha della situazione dello straniero e il linguaggio politico-legislativo che ha dominato la scorsa legislatura, che ha fatto dello straniero un criminale in potenza.
Prendiamo uno dei tanti pacchetti sicurezza varati negli ultimi anni, il d.lgs 94/2009. Per effetto di questo decreto, chi si trova irregolarmente sul territorio italiano (senza permesso di soggiorno o con permesso scaduto) rischia un'ammenda da 5.000 a 10.000 euro. Se poi c'è un provvedimento di espulsione e lo straniero non lo rispetta, la pena è la reclusione da uno a 5 anni. In aggiunta, lo straniero che vuole sposarsi in Italia deve presentare all'ufficiale dello stato civile un documento che attesti la sua presenza regolare sul nostro territorio.
Come scrive Stefano Rodotà, queste norme rivelano che per il nostro legislatore l'immigrazione non è un fenomeno sociale strutturale, bensì "esclusivamente un problema di ordine pubblico". L'approccio securitario, secondo Rodotà, "rende più difficili le politiche sociali e crea il clima propizio alla percezione dell'immigrato come soggetto pericoloso". Quello di irregolare è insomma un marchio normativo impresso sul corpo dello straniero a prescindere dalle cause che l'hanno portato sul suolo italiano. Suonano perfettamente in sintonia con questo quadro le parole dell'allora ministro dell'Interno, Roberto Maroni: "Per contrastare l'immigrazione clandestina non bisogna essere buonisti, ma cattivi, determinati, per affermare il rigore della legge".
Il problema è che quelle leggi, che ci vengono consegnate come 'pacchetti', non sono regali che facciamo a noi stessi: non ci danno più sicurezza. Anzi, violano diritti fondamentali. Così, per la Corte costituzionale il requisito della regolarità per la celebrazione delle nozze viola il diritto fondamentale al matrimonio, di cui anche lo straniero irregolare gode in quanto essere umano. Quanto al meccanismo del reato di mancata ottemperanza all'ordine di espulsione, ci ha pensato la Corte di giustizia europea a dichiararlo illegittimo, perché non porta all'allontanamento dello straniero e risulta anzi totalmente ineffettivo. Empiricamente parlando, poi, tali norme non sembrano aver fermato o ridotto significativamente l'immigrazione nel nostro paese. Oltre ad essere inumane, esse sono quindi anche inutili.
Le scuri giudiziarie che si abbattono su norme sbandierate come difensive della sicurezza di tutti sono pericolose per la democrazia. Quale credibilità può avere una legge fatta a pezzi a colpi di pronunce di illegittimità? Le brecce aperte dai giudici impongono alla politica una riflessione su come l'Italia intende fronteggiare non una piaga criminale, ma un fenomeno sociale con cui tutti i paesi europei devono fare i conti.