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Legge, che vecchio copione!

, di Giovanni Iudica - ordinario di diritto civile e direttore della Scuola di giurisprudenza della Bocconi
Globalizzazione e diritto. La rivincita dei mercati e delle consuetudini

La globalizzazione, ossia la produzione e lo scambio della ricchezza con la localizzazione dei vari segmenti dell'impresa in stati diversi, è stata resa possibile, nella seconda metà del secolo scorso, dallo sviluppo delle tecnologie.

Di questa trasformazione epocale è diventata protagonista la borghesia imprenditoriale. Gli ipermercatores, le public companies, le multinazionali operano ormai in un orizzonte mondializzato con uno spirito d'intrapresa che non sopporta i vincoli di un diritto concepito con riferimento a un territorio determinato e radicato entro i confini di uno stato: la globalizzazione è l'ultimo atto di una crisi ormai irreversibile che ha investito l'intero impianto giuridico dell'Occidente. I due principali attori del teatro giuridico moderno, lo stato e la legge, recitano ormai le parole di un copione invecchiato. Con ciò non si vuole negare che lo stato abbia rappresentato una delle più riuscite creazioni del pensiero giuridico occidentale. Con la Pace di Westfalia fu varato un sistema pluralistico di stati sovrani: nessuna autorità, politica religiosa o giuridica, avrebbe potuto sovrastare l'autorità dello stato e ogni stato, nel suo territorio, fu riconosciuto titolare esclusivo del potere normativo. L'universo giuridico dell'illuminismo borghese ha ruotato attorno alla triade stato, legge, territorio. L'espressione suprema di questo processo di statizzazione del diritto è stato il Code civil. La testualizzazione del diritto (in sostituzione delle consuetudini), l'apparato statale di coercizione, la semplificazione tecnica del diritto attuata dal legislatore con la codificazione del diritto civile e commerciale hanno accresciuto la certezza del quadro giuridico, reso più sicuro l'agire economico e contribuito allo sviluppo del capitalismo. In questo contesto il giudice non poteva che essere "bouche de la loi" e il giurista non più di un esegeta della volontà del legislatore.Sennonché, tale triade si è rivelata una grande utopia ed è ormai entrata in una crisi irreversibile. Quanto allo stato, sono evidenti le spinte interne che hanno condotto a rifrazioni territoriali della sovranità (regionalizzazione) e alla sua distribuzione tra componenti sociali in continuo equilibrio tra loro (pluralismo democratico). Lo stesso vale per le spinte esterne, con una dislocazione di segmenti del potere pubblico dallo stato a strutture a esso sovraordinate (es. Unione europea).Quanto al Codice, franò subito l'ideale della completezza. La mole delle leggi speciali nei settori vitali dell'economia e della società hanno indotto a guardare al codice come a un sistema residuale e a parlare di decodificazione del diritto scritto. Anche l'idea di univocità, chiarezza e uguaglianza della legge scritta si rivelò utopica di fronte alla necessità di interpretare la norma. Quanto all'idea della territorialità del diritto, proprio la globalizzazione ne ha segnato il declino. Le strutture dello stato sovrano, nazionale, possono sì ancora servire a una microeconomia che operi in ambiti provinciali, ma sono diventate un abito troppo stretto per quei soggetti che producono guardando non già al territorio del loro stato, bensì all'orizzonte del mondo intero. Nell'economia globalizzata, la consuetudine torna a essere la regina delle fonti normative. Le transazioni economiche saranno governate non da questa o quella legge scritta stabilita da questo o quello stato, ma, come accadde per secoli prima delle utopie illuministe, dalla forza della consuetudo mercatoria.Però una realtà giuridica che si limiti a galleggiare sulle dinamiche dell'autonomia privata sarebbe zoppa. Lo ius privatorum non può fare a meno di un diritto che si occupi della pubblica res. Starà ai giuristi immaginare nuove forme istituzionali autoritative, non statuali, che siano funzionali alle esigenze di un mercato globale, in grado di soddisfare anche gli interessi in conflitto con quelli degli ipermercatores. Si pensi al diritto penale e ai provvedimenti cautelari. O alla tutela dei lavoratori e dei consumatori. O alla necessità di un organo sovranazionale che rimuova gli ostacoli che alterano il gioco della concorrenza, impedendo al mercato globale di divorare se stesso.