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Le unioni meglio delle convivenze

, di Emanuele Lucchini Guastalla - professore ordinario di diritto privato
Con la legge 76 il legislatore ha disciplinato fattispecie differenti dal matrimonio, con esiti pero' qualitativamente molto diversi

Quest'anno, con la l. n. 76/2016, è stata introdotta nel nostro ordinamento la figura delle unioni civili fra persone dello stesso sesso. Il provvedimento pone fine a un ritardo del legislatore ormai non più giustificabile, specie se si considera l'esempio della maggioranza degli altri paesi occidentali, nei quali una regolamentazione in materia esiste da tempo.
Il legislatore italiano non ha introdotto, peraltro, il matrimonio fra persone dello stesso sesso, a differenza di quanto accaduto in altri paesi. Per esempio, il diritto inglese non soltanto conosce, da più di dieci anni, l'istituto della civil partnership (non accessibile alle coppie eterosessuali), ma da alcuni anni, con il Marriage (Same Sex Couples) Act, del 2013, ammette al matrimonio anche le coppie omosessuali.
In Italia, al contrario, il matrimonio rimane istituto riservato a persone di sesso diverso, mentre le coppie dello stesso sesso possono ora costituire un'unione civile.

I due istituti restano quindi distinti, e presentano alcune diversità, che attengono principalmente all'atto che dà vita al vincolo e alla disciplina del cognome. Salve queste differenze, tuttavia, il regime dei rapporti personali e patrimoniali fra le parti dell'unione è in larghissima misura corrispondente a quello delle coppie sposate.
Anche fra i partner uniti civilmente sussiste, fra l'altro, il reciproco obbligo all'assistenza morale e materiale, così come l'obbligo di coabitazione (mentre la legge tace quanto all'obbligo di fedeltà). Inoltre, quello che per le coppie unite in matrimonio è l'obbligo di contribuire ai bisogni della famiglia, per le persone unite civilmente diviene l'obbligo di contribuzione ai bisogni «comuni».
Molto delicata è la questione del rapporto genitori-figli, e in particolare quello della disciplina della relazione tra il minore e il partner del genitore biologico, che spesso svolge il ruolo di «genitore sociale». Le radicali contrapposizioni politiche sorte al riguardo non hanno trovato una composizione, al punto che la legge non ha introdotto nuove regole a riguardo, lasciando così grande spazio al ruolo di «supplenza» svolto dalla giurisprudenza.

Oltre alle unioni civili, è stato disciplinato – seppure solo parzialmente – il fenomeno delle convivenze di fatto fra persone non coniugate o non unite civilmente: una realtà divenuta sempre più significativa negli ultimi anni, sia come conseguenza della frequente scelta di non sposarsi, sia come riflesso dell'accentuata "instabilità" del vincolo coniugale, dalla cui crisi nascono spesso "secondi" o "terzi" nuclei familiari, fondati su una semplice convivenza e non su un ulteriore matrimonio. In base alla nuova legge, fra l'altro, i conviventi possono decidere se regolare o meno la convivenza mediante un accordo (il "contratto di convivenza").

Ebbene, se le regole dedicate dalla l. 76/2016 alle unioni civili risultano complessivamente apprezzabili dal punto di vista tecnico (se non altro perché il legislatore, anche per mezzo di rinvii o riproposizioni quasi testuali, in pratica non ha fatto altro che richiamare la disciplina del matrimonio), le disposizioni dedicate alle convivenze di fatto appaiono meno precise e lasciano spazio a qualche perplessità. Infatti, la nuova regolamentazione delle convivenze di fatto è a tratti frammentaria e lacunosa, ponendo numerosi interrogativi di ordine teorico e pratico, che rendono ancora più incerto un terreno, già di per sé complesso e in costante evoluzione, qual è quello delle relazioni familiari.