L'arte e' bella perche' e' varia. Nella gestione
Curioso momento per il settore culturale italiano: due rapporti ne hanno presentano gli andamenti, con risultati divergenti. Da una parte, Federculture rilevava per il 2012 una domanda media in calo per presenze e spese con riferimento a sale cinematografiche, teatri e musei. Con dati opposti, però, per singoli settori e territori, come la Lombardia. Dall'altra, il Symbola-Unioncamere evidenziava per il medesimo anno un valore aggiunto del settore pari al 15,3% sul totale nazionale, una crescita degli occupati dello 0,5% contro il generale -0,3%, e un aumento del 3,3% delle imprese in quattro macro-settori: industrie culturali, industrie creative, heritage e performing arts.
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Anna M. Alessandra Merlo |
Ma, anche allargando lo sguardo al panorama internazionale, emergono differenze e contraddizioni, sintomo che il mondo della cultura sta cambiando profondamente e sta spostando i suoi centri nevralgici. Secolari istituzioni museali italiane sono al tracollo e nessuna di esse è tra le prime 20 al mondo, mentre il volume d'affari annuo del Louvre (200 milioni di euro) è maggiore del volume totale di tutti i musei del Belpaese. Metà di questi soldi, peraltro, proviene dai biglietti pagati dai quasi 9 milioni di visitatori e dai contributi privati, compresa la recente iniziativa di crowd-funding 'Tous mecenats' che sta riscuotendo molto successo. Progettazioni architettoniche multifunzionali e multimediali realizzate in tempi record finalmente prendono le distanze dai protagonismi da archistar e si pongono al servizio del pubblico e dell'arte (ne è esempio la nuova sede della New World Symphony di Miami), mentre strutture prestigiose ma poco funzionali e sostenibili stentano ormai dovunque a sopravvivere. Storici festival al tracollo e però un fermento di iniziative locali, private, come piccoli laboratori di innovazione culturale e di rilancio territoriale, gioielli architettonici che crollano e siti archeologici che chiudono e però spettacolari poli artistici che sorgono in mezzo ai deserti, come il Museo dell'Arte Islamica a Doha.
Mentre studiosi e operatori si affannano a dimostrare che con la cultura si mangia o non si mangia e a formulare prescrizioni che per la verità sempre più spesso vanno nella direzione del taglio dei contributi pubblici a favore dell'imprenditorialità, i diversi dati ben rappresentano l'attuale situazione globale del settore culturale, molto variegata.
In effetti, proprio la differenziazione è la chiave di comprensione di dati così differenti: le istituzioni culturali funzionano bene se sono ben gestite, capaci di aggiornare costantemente le proprie funzioni all'interno della società e di ragionare in termini di sostenibilità economica oltre che di qualità artistica; funzionano male se sono mal gestite. Sembra banale, ma per il settore evidentemente non lo è.
Per le grandi istituzioni, in cui il volume dei costi fissi derivanti da immobilizzazioni (grandi spazi e patrimoni e corposi organici) è molto elevato, è oggi d'obbligo adottare la visione di Thomas Krens, ex direttore del Guggenheim di New York. Gestioni imprenditoriali, alla conquista dei mercati globali, anche grazie all'utilizzo dei nuovi media e delle tecnologie, con consistenti attività commerciali e un approccio alla cultura socialmente inclusivo, divulgativo, multiculturale e compatibile con l'ambiente. Solo così istituzioni come il Shakespeare Globe di Londra sono in grado di autofinanziarsi per oltre la metà dei propri costi, con un vastissimo riscontro di pubblico.
Le piccole realtà invece devono saper essere innovative, spesso sono generate da privati o dalla società civile, dunque bottom-up, pensate per riqualificare luoghi periferici, con un assetto economico nonprofit e strutture leggere che generano bassi costi fissi, con forme innovative di auto-finanziamento e di comunicazione.