L'arte di saper gestire un museo. Studiando il visitatore
Il dibattito intorno alla necessaria formazione manageriale per i direttori di museo è un tema ormai molto discusso che presta il fianco anche a speculazioni semplicistiche di chi vorrebbe vedere solo mettere in evidenza il dualismo inconciliabile tra la formazione manageriale rispetto a quella più umanistica. Promuovere una mostra di Mark Rothko in modo professionale e strutturato non vuol dire trattare le opere d'arte come se fossero dei fustini di detersivo, così come sostenere il restauro di un monumento con la raccolta fondi tra privati non significa sminuirne il valore artistico, anche quando a pagare i restauri sono aziende controverse, che magari hanno maggiori disponibilità rispetto ad altre o senza dubbio rispetto alla pubblica amministrazione.
Altra discussione verte sull'intervento del privato nella gestione dei beni culturali: è giusta o no? Di nuovo si producono barricate: chi ritiene che non sia accettabile la mercificazione e la commercializzazione dei musei e chi invece invoca l'avvento del privato come manna per risolvere i problemi di gestione del patrimonio artistico italiano. Un dibattito questo che si autoalimenta tra addetti ai lavori che propugnano la loro posizione spesso ideologica senza fermarsi e osservare il problema secondo la prospettiva del pubblico. Chi visita un museo o partecipa a un evento artistico ne è necessariamente cliente, e la sua impressione è importante sia che decida di tornare sia che si sia trattato di un momento isolato, perché la soddisfazione del visitatore produce un passaparola positivo e attrae, di conseguenza, nuovi visitatori.
➜ Titolo da fare titolo da fare titolo
I musei e le esposizioni artistiche non hanno come prima finalità l'autosostentamento della propria impresa culturale: musei che si sostengono solo con i proventi della biglietteria non ne esistono e anche i più virtuosi devono fare ricorso a sponsorizzazioni e altre forme di contribuzione. Ma anche in questi casi il privato è stimolato a sostenere l'istituzione culturale anche dalla qualità della visita che viene offerta, dalla soddisfazione espressa da chi la mostra la vede. Dire quindi che anche in contesti culturali la prospettiva del consumatore è importante non significa, di nuovo, disconoscere la scientificità della collezione e le scelte artistiche in capo ai curatori di mostre e musei, ma vuol dire porre l'accento sul modo in cui qualsiasi tipo di attività artistica deve essere comunicata, promossa e valorizzata nei confronti del pubblico.
Alla base del Crm, Customer relation management, gestione della relazione con la clientela) c'è la consapevolezza che tipicamente i consumatori di un prodotto o servizio sono spinti all'acquisto (e quindi al consumo) da motivazioni diverse tra loro, difficilmente omogeneizzabili. A maggior ragione questo avviene quando si entra nel grande contesto dei prodotti edonistici (l'arte, la cultura e l'entertainment) dove la componente emotiva gioca un ruolo importante. Solo conoscendo a chi si rivolge, quindi, l'istituzione culturale saprà relazionarsi al meglio; solo con una robusta base di informazioni sui visitatori, il tempo di permanenza, il grado di soddisfazione e l'ammontare di denaro speso nei servizi accessori (bookshop, bar, ristorante, servizi aggiuntivi...) il museo saprà progettare e confezionare un'esperienza di visita di successo. E tutto questo quindi c'entra ben poco con la libertà, in capo a ogni singola istituzione culturale, di definire una propria linea, nel seguire l'obiettivo di educatore e mediatore culturale nella collettività o di sviluppare senso critico nei confronti delle produzioni artistiche contemporanee. Si tratta di due ambiti ben distinti che si ritiene vadano governati in modo complementare e non antagonista.