L'alba della nuova Europa
Il 2 marzo 25 paesi dell'Unione europea hanno firmato il Trattato di stabilità, coordinamento e governance (il Patto di bilancio europeo, ovvero Fiscal compact). Non hanno aderito Regno Unito e Repubblica Ceca, mentre l'Irlanda intende sottoporlo a referendum popolare.
Lo scopo di questo trattato, di cui si discute da mesi su iniziativa della Germania, è di rafforzare il Patto di crescita e stabilità, con misure che impediscano i disavanzi pubblici, che alimentano i debiti nazionali e quindi pongono le premesse per gli attacchi all'euro. Il nuovo trattato entrerà in vigore dopo la ratifica di 12 paesi e prevede che ciascuno degli stati firmatari introduca entro un anno una norma costituzionale per garantire il pareggio di bilancio. Su ciò vigilerà la Corte di giustizia europea, che potrà imporre sanzioni agli inadempienti. Oltre che per il disavanzo, è previsto un impegno preciso anche per quanto riguarda il debito pubblico, che deve rientrare entro il 60% del pil entro 20 anni. Questa norma, particolarmente stringente per l'Italia, è resa più flessibile dal fatto che verranno presi in considerazione (come richiesto dal nostro governo) anche altri fattori rilevanti (ciclo economico, debito delle famiglie e delle imprese, ecc.). L'approvazione del Fiscal compact colma una lacuna del Trattato di Maastricht, preciso e puntuale circa la politica monetaria comune, e molto più ambiguo per quanto riguarda la politica fiscale e di bilancio. I nodi sono venuti al pettine con la crisi finanziaria esplosa nel settembre 2008 e l'Ue si è trovata a dover fare i conti con una costruzione incompleta e assai fragile nelle situazioni di turbolenza economica e finanziaria. Tuttavia, se il rigore nelle politiche di bilancio è condizione indispensabile per la credibilità dell'Unione economica e monetaria e quindi per la sua durata nel tempo, non bisogna dimenticare che il progetto europeo dall'inizio degli anni Cinquanta ha lo scopo di promuovere il benessere economico e un miglior equilibrio sociale, al punto che si parla di modello economico e sociale europeo; esso ora è a rischio, in quanto scarseggiano sempre più le risorse necessarie per sostenerlo, anche a causa delle sfide poste dalla globalizzazione. Il tema dello sviluppo economico deve quindi tornare al centro dell'attenzione e dell'azione politica. Come ha ben commentato il presidente del Consiglio Mario Monti, dopo il Fiscal compact è necessario un Economic compact. Infatti, non solo gli equilibri nella finanza pubblica sono molto più difficili da mantenere senza crescita economica, ma non si possono posporre le legittime istanze dei cittadini e in primis dei giovani per un futuro con prospettive più incoraggianti. La Commissione europea ha proposto due anni fa una nuova strategia per questo decennio, nota come Europa 2020, per una crescita intelligente – sostenibile – inclusiva. Il programma è stato accolto con favore, ma il rischio (come già avvenuto) è che gli stati non riescano a coniugare rigore finanziario e politiche per la crescita, e quindi che antepongano nettamente il primo obiettivo all'altro. È quindi necessaria un'accelerazione nel processo di unificazione europea; nessun paese (neanche la grande Germania) può pensare di avere successo da solo nell'economia globalizzata. Le strette interdipendenze che si sono sviluppate in oltre cinquant'anni in Europa rappresentano un patrimonio da sfruttare meglio, conseguendo pienamente il mercato unico, con politiche e investimenti per la crescita e soprattutto con più Europa. Lo spettacolo deludente degli ultimi due anni di tentennamenti e ambiguità deve essere superato da forme strette di coesione, per un rilancio duraturo di un processo dove stabilità e crescita siano due facce di una stessa medaglia, e senza il quale la disgregazione e marginalizzazione dell'Europa diventerà inevitabile.