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L’Airone di Dubrovnik ospite di Sport Club

, di Davide Ripamonti
Andro Knego, pivot della Jugoslavia oro a Mosca '80, ha parlato di basket con Carlo Favero, coach dei Pellicani

Tre Olimpiadi e tre volte sul podio. Andro Knego, 2,06, pivot della Jugoslavia stellare che tra la fine degli anni 70 e gli anni 80 ha dominato il basket mondiale, è stato ospite oggi di Sport Club, la trasmissione di Radio Bocconi dedicata allo sport in onda il martedì e il venerdì dalle 13 alle 14. Knego, 52 anni, che ricopre attualmente l'incarico di Console generale della Repubblica Croata a Milano, ha raccontato la sua carriera dialogando con i conduttori Daria Buonfiglio, Riccardo Mucci e Nazario Peluso, e con Carlo Favero, professore di Economia politica in Bocconi e allenatore della squadra di basket dell'Università.

"E' più forte l'emozione che si prova a sfilare alla cerimonia d'apertura o quella del podio?", risponde Knego, che i gradini del podio li ha saliti tutti e tre (argento a Montreal 76, oro a Mosca 80 e bronzo a Los Angeles 84), alla domanda dei conduttori. "E' difficile a dirsi, ma credo che sia tutta l'esperienza olimpica a essere emozionante. La vita nel villaggio, gli incontri, su ogni Olimpiade che ho fatto potrei scrivere un libro".

Carlo Favero e, sullo sfondo, Andro Knego

Un basket più "umano", quello dei tempi di Knego, basato sulla tecnica e sulla velocità ma soprattutto sull'intelligenza: "Adesso si vedono fisici molto palestrati, grandi atleti ma molta meno tecnica. Quando giocavo io avveniva il contrario". "Il basket è uno sport dove conta molto l'intelligenza", concorda Favero, "con quella si può sopperire a un fisico non eccezionale. La nostra squadra lavora molto sotto questo aspetto e grazie al lavoro in palestra e al talento dei giocatori siamo arrivati in serie D, un buon livello per dei ragazzi che hanno ovviamente come priorità gli studi. Certo, se ci fosse un campionato universitario strutturato come quello americano sarebbe bellissimo, potremmo avere la funzione di preparare al basket professionistico quei giocatori che nelle massime serie trovano poco spazio. E nel contempo potrebbero studiare e laurearsi".

La 'patria' del basket sono gli Stati Uniti, che solo a partire dagli anni 90 hanno cominciato a confrontarsi con regolarità con il resto del mondo. Mancava, a Knego e ai suoi compagni, il confronto con il basket a stelle e strisce? "Facevamo spesso tournée negli Usa, dove affrontavamo le migliori squadre universitarie. Ho giocato contro campioni come Michael Jordan e Pat Ewing e si trattava di esperienze molto formative. Ricordo una delle prime partite, contro l'università di Nevada Las Vegas: noi, la fortissima Jugoslavia che dominava il mondo, sotto 20-0 dopo pochi minuti contro una banda di ragazzini scatenati. Poi abbiamo capito il loro basket e, tournée dopo tournée, li abbiamo battuti sempre più spesso".

Knego ha giocato in una squadra dove le forti personalità non mancavano: Cosic, Kicanovic, Dalipagic, Delibasic e altri ancora, atleti tutti dall''ego' smisurato. Come riuscivano in campo a metterlo da parte per un obiettivo di squadra? "Come ha detto Favero prima, la cosa più importante nel basket è l'intelligenza e noi in squadra ne avevamo una quantità pari a quella di talento".