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L'acqua che da' da mangiare piu' che da bere

, di Antonio Massarutto - research fellow dello Iefe Bocconi, l'Istituto di economia e politica dell'energia e dell'ambiente
Nord e sud. E' nella gestione clientelare degli enti, piu' che nella geografia, che risiede il motivo dell�arretratezza

Se c'è un tema che non può prescindere dalla specificità locale questo è l'acqua. Essa è tanto portatrice di idee universali, fino a definirla "patrimonio comune dell'umanità", quanto risorsa la cui disponibilità e utilizzo devono essere analizzate alla scala locale. "L'acqua è pesante": trasferirla da un contesto all'altro si può, ma solo con costi che oltre una certa scala diventano proibitivi e non trovano giustificazione.

E dunque se c'è un terreno in cui le differenze tra Nord e Sud trovano una spiegazione almeno parziale nella geografia, più che nell'antropologia o nella storia, questo è proprio quello idrico.Le differenze non devono essere enfatizzate oltremisura: la disponibilità di acqua è generalmente elevata, e nemmeno nelle regioni più aride si può parlare in assoluto di carenza di risorsa disponibile: l'unica eccezione rilevante è la Puglia, il cui approvvigionamento già da un secolo è fornito dall'Acquedotto Pugliese, alimentato da sorgenti e invasi situati in Campania e Basilicata.Al Nord l'acqua è non solo molto più abbondante ma, ciò che conta, è disponibile con maggiore regolarità e utilizzabile con molta meno fatica. I corsi d'acqua padani e del Nord Est sono alimentati in estate dallo scioglimento delle riserve accumulate in inverno sotto forma di ghiaccio e neve, e modulati dai serbatoi naturali dei laghi subalpini. Al Sud, viceversa, troviamo per lo più corsi d'acqua a regime torrentizio, la cui portata è impetuosa (e poco utilizzabile) nelle stagioni piovose, ma diminuisce vistosamente in quelle secche. Ciò richiede in genere maggiori artifici umani per essere resa disponibile. Tuttavia, queste differenze interessano soprattutto l'agricoltura, terreno nel quale il Sud ha sviluppato un modello d'irrigazione complessivamente più efficiente, proprio per la maggiore scarsità della risorsa.Nella gestione dei servizi idrici urbani, al contrario, ritroviamo l'Italia di sempre. Un Nord caratterizzato nel complesso da una tradizione di buona amministrazione locale, che ha saputo creare quasi ovunque aziende e organizzazioni con competenze tecniche e gestionali adeguate, e in cui l'acqua ha significato da sempre un forte elemento di identificazione. Il Sud, invece, con poche eccezioni, è stato storicamente legato più all'opera pubblica che alla gestione, più a una mentalità erogatoria che all'idea di servizio. E da questo, più che dal clima e dall'idrologia, dipendono le molte magagne strutturali che affliggono il Sud: reti fatiscenti e in degrado, con perdite astronomiche; tradizione di tolleranza verso chi non paga, tanto che la morosità in certe zone raggiunge livelli da Sud America; situazioni ancora caratterizzate da approvvigionamenti carenti ed erogazioni insufficienti, soprattutto dove alla domanda normale dei centri abitati si somma quella dei turisti nei mesi estivi. La gestione dei servizi assume più spesso quella che è stata definita la funzione di "assumificio e appaltificio": dell'Ente acquedotto pugliese, un tempo, si diceva che "dava più da mangiare che da bere", ostaggio delle mille consorterie politiche che traevano vantaggio, finché a pagare era Pantalone, dell'acqua quasi gratis, dei posti di lavoro dispensati generosamente o degli altrettanto generosi appalti di lavori pubblici e servizi vari. Anche per questo motivo, i potenziali benefici di un coinvolgimento del settore privato sono molto diversi nelle due realtà. Se questi dati sono reali, anch'essi non vanno drammatizzati. Sia perché lo stesso Nord non sempre può dispensare lezioni, sia in termini di efficienza e di sfrenato campanilismo che di intrusione della peggiore politica; sia perché anche al sud si vedono segnali di miglioramento, a cominciare proprio da quell'Acquedotto Pugliese, emblema delle sciagure della Prima Repubblica, dove la scommessa di puntare sul "new public management", gestione pubblica, ma attenta agli equilibri aziendali, sta dando buoni frutti.