La vera uguaglianza
Il sistema contributivo collegato al pil, la scarsa copertura per la non autosufficienza e l'allungamento dell'età pensionabile per le donne. Tre elementi che, a oltre un anno dalla formulazione della riforma Fornero (legge 214/11), consentono di ragionare sui margini di miglioramento della riforma del sistema pensionistico italiano.
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Francesco Vallacqua |
La riforma Fornero ha esteso il metodo di calcolo contributivo a decorrere dal 2012. Tale metodo pone in stretta correlazione i contributi versati con le prestazioni erogate. I contributi versati vengono capitalizzati in base a un determinato tasso di rendimento legato all'andamento del pil (nello specifico, il tasso annuo di capitalizzazione è dato dalla variazione media quinquennale del prodotto interno lordo nominale, con riferimento al quinquennio precedente). Alla fine, in tal modo si genera un montante che, sulla base di coefficienti di trasformazione (aliquote percentuali che tengono conto della speranza di vita dei soggetti), verrà commutato in pensione.
Si pone però, a questo punto, una questione: il pil è ancora l'indicatore più valido per misurare il benessere sociale e la crescita di un'economia e quindi per collegarvi il rendimento del metodo contributivo? Come osservato da importanti economisti, gli indicatori non sono cambiati di pari passo con le evoluzioni della società e dell'economia, in un contesto in cui non è più la moneta che crea il credito ma il credito che crea la moneta attraverso il proliferare di nuovi e alle volte poco trasparenti strumenti derivati.
La riforma inoltre si è poco concentrata sul problema delle coperture per la non autosufficienza a fronte del progressivo innalzamento della vita media e dei cambiamenti nella struttura della famiglia. Le modificazioni economiche e sociali hanno fatto sì che la tradizionale rete di sostegno familiare agli anziani non autosufficienti tenda a venir meno soprattutto in considerazione del fatto che il calo della natalità, verificatosi negli ultimi anni, si associa a un aumento del numero degli anziani senza figli. Inoltre, poiché nella maggior parte dei casi sono le donne a prestare servizi di assistenza, l'aumento del tasso di attività e occupazione femminile costituisce un'ulteriore causa di difficoltà nella ricerca dell'assistenza necessaria all'interno del proprio nucleo familiare. Si comprende, allora, come sia sempre più indispensabile approntare una maggiore ed efficace rete di servizi di assistenza.
Infine un cenno alla questione dell'elevazione e parificazione dell'età pensionabile delle donne a quella degli uomini. La riforma Fornero (con alcuni distinguo tra pubblico e privato) ha proseguito il percorso di armonizzazione dei requisiti pensionistici tra sessi diversi. Tale percorso aveva avuto già un forte impulso con due leggi precedenti, la 102/2009 e la legge 122/2010. La parificazione andrebbe valutata lungo tutto il percorso lavorativo e sociale per cui bisognerebbe chiedersi: nell'economia italiana la donna è davvero in una situazione di parità? Ha sempre le stesse opportunità? Non è discriminata in caso di maternità? Ha la possibilità di portare i figli presso asili nido presenti sul luogo di lavoro? È facile rispondere negativamente, a dispetto del principio di eguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione.
Questo infatti è interpretabile nel senso che c'è vera eguaglianza quando situazioni uguali sono trattate in modo eguale e situazioni diverse in modo diverso. In altri termini, quanto meno per tale categoria, sarebbe stato più opportuno scommettere sull'apporto che le donne, se messe nelle stesse condizioni degli uomini, possono dare al tessuto economico sociale piuttosto che puntare su regole pensionistiche di tipo compensativo.