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La politica secondo Pasquino

, di Andrea Celauro
Il noto politologo ospite in Bocconi per una lezione sulla scienza della politica

"Non esiste sistema multipartitico al mondo in cui ci siano 945 parlamentari". Un numero così alto che contribuisce a spiegare, sottolinea il politologo Gianfranco Pasquino, ospite di un incontro in Bocconi sullo stato dell'arte della scienza della politica, "come mai il finanziamento pubblico dei partiti sia stato digerito in tutti i paesi d'Europa tranne che nel nostro. La maggior parte di essi, infatti, ha meno partiti e meno parlamentari". Quando si parla di finanziamento pubblico, poi, "la risposta dei partiti è sempre la stessa: la politica costa, se non la finanziate voi cittadini, la finanziano i gruppi di pressione. Il problema è che la finanziamo noi e i gruppi di pressione e non si capisce più chi finanzia che cosa".

Ma riguardo ai partiti, Pasquino sottolinea anche l'importanza del loro aspetto ideologico, "che consente una scorciatoia conoscitiva nell'elettore, permettendogli di identificarsi più facilmente", motivo per cui, "negli Stati Uniti, per esempio, i candidati indipendenti non vinceranno mai le elezioni". Sulle tornate elettorali del 2006 e 2008 in Italia, invece, Gianfranco Pasquino sottolinea "la difficile comparabilità dei due eventi, perché pur trattandosi degli stessi attori, era il contesto ad essere molto diverso (alcuni di essi correvano da soli)".

Questi alcuni dei tanti spunti che ha fornito la densa lezione sulla scienza della politica che il noto politologo torinese, allievo di Norberto Bobbio e Giovanni Sartori, ha proposto ai bocconiani. Un settore di studio, la scienza della politica, che non deve limitarsi ad analizzare e spiegare i fenomeni, ma che "a certe condizioni, è un sapere applicabile, che serve per intervenire", come ha spiegato Pasquino sottolineando l'utilità pratica e "operativa" della materia.

Pasquino dà forza alla sua idea di un'analisi che non sia solo conoscitiva citando Aristotele, "primo scienziato politico comparato, che sconsigliava l'adozione di forme di governo pure", passa per Machiavelli, noto per la concretezza della sue indicazioni al "Principe" e caratterizzato da un approccio da "osservatore partecipante" e approda a Max Weber, che pur non essendo uno scienziato politico vero e proprio, è fondamentale per la svolta data dal suo metodo storico-comparato. Sottilinea poi il dibattitto che negli Stati Uniti e in Europa, nella seconda metà del Novecento, ha impegnato gli studiosi sui temi della decolonizzazione, "su quali fossero le basi per la creazione di un ordine politico e quali influssi avessero le istituzioni politiche sullo sviluppo economico", e del crollo delle democrazie, "fenomeno che caratterizzava allora anche l'America Latina". Il politologo torinese si è soffermato, tra l'altro, sullo studio dei concetti di democrazia e autoritarismo, sulla fase di analisi che ha riguardato il crollo del comunismo (termine improprio se posto in termini assoluti, "visto che ancora esiste in Cina, Corea del Nord, Vietnam e Cuba") e sul dibattito circa i sistemi elettorali e di partito. "Il bello della politica", ha concluso Pasquino, "è che produce ogni giorno qualcosa che merita attenzione, anamnesi, generalizzazione".