La politica ambientale puo' aumentare l'inquinamento
Le politiche ambientali possono contribuire ad aumentare, anziché ridurre, l'inquinamento e la probabilità che si verifichi questo effetto perverso non è trascurabile. All'inattesa conclusione arriva Francesco Gullì professore di economia applicata e ricercatore del Certet, il Centro di economia regionale, dei trasporti e del turismo dell'Università Bocconi, nel working paper Environmetal policy under imperfect competition in vertical related energy markets, presentato la scorsa settimana in Università.
La maggior parte degli studi sulle politiche ambientali postula che una tassa sull'inquinamento o un mercato dei diritti di inquinamento avrebbero il duplice effetto di ridurre la domanda di energia e di spostare la produzione di energia dai processi più inquinanti a quelli meno inquinanti. Entrambi gli effetti contribuirebbero a ridurre le emissioni.
Questo non è detto che si verifichi se, come afferma Gullì, i mercati sono imperfettamente concorrenziali se cioè una o più imprese sono in grado di esercitare un apprezzabile potere di mercato.
Focalizzandosi sul mercato elettrico e simulando la concorrenza imperfetta attraverso la presenza di una impresa dominante, Gullì dimostra che, se certe condizioni sono soddisfatte, la politica ambientale provoca un cambiamento di comportamento nelle imprese che ha due effetti importanti: da un lato si ha una riduzione dei prezzi che provoca un aumento della domanda e della produzione; dall'altro si ha un aumento della quota di produzione degli impianti più inquinanti. Insieme, questi due effetti possono determinare un aumento delle emissioni soprattutto se anche il mercato del gas naturale, che è il principale input della generazione elettrica, è lontano da un assetto sufficientemente concorrenziale.
Ciò avverrebbe indipendentemente dal tipo di politica ambientale se cioè basata sulla introduzione di tasse o su strumenti del tipo emission trading, con una differenza sostanziale però. Nel caso dell'emission trading l'aumento delle emissioni determina un incremento della domanda di permessi di emissione che a sua volta ne provoca un aumento dei prezzi contribuendo con ciò ad amplificare la volatilità del prezzo della CO2. Una circostanza che minerebbe ulteriormente l'efficacia della politica ambientale.
Tuttavia, Gullì avverte anche che l'effetto perverso della politica ambientale può verificarsi solo se questa è modesta, cioè per valori relativamente bassi del prezzo della CO2 (la carbon tax o il prezzo dei permessi) quando cioè la politica ambientale è poco coraggiosa perché magari frutto di un mero compromesso fra le esigenze dei diversi gruppi di interesse (nazioni, imprese e gruppi di imprese). Se invece il prezzo della CO2 è sufficientemente elevato il suo impatto sui prezzi e sulla domanda è talmente alto che, anche in presenza di concorrenza imperfetta, si avrebbe una riduzione sostanziale delle emissioni.
In poche parole Gullì sembra suggerire che una politica ambientale "frenata" non solo può essere insufficiente a raggiungere gli obiettivi prefissati ma può addirittura produrre un effetto perverso. Un risultato che deve far riflettere sulla opportunità di un'azione pubblica "timida" sul fronte ambientale.