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La nuova governance

, di Marco Ventoruzzo - ordinario presso di Dipartimento di studi giuridici
Sempre piu' attivi nei cda, i fondi d'investimento sono un'opportunita' e non solamente un costo

All'assemblea di nomina del cda di Unicredit si è verificato un fatto singolare. La lista dei (presunti) soci forti, che molti ritenevano prevalesse, ha ottenuto il 46%; la lista dei fondi di investimento, coordinati da Assogestioni e in genere seconda classificata, il 54. La prima lista (ma seconda classificata) indicava 17 candidati per i 17 posti; la lista dei fondi solo uno. Di conseguenza, è stato eletto l'unico candidato della lista prima classificata, e 16 della seconda. Se la lista favorita fosse arrivata prima il risultato sarebbe stato quasi identico, tuttavia lo si è raggiunto in modo opposto. Così, a rigore, il vertice della banca non è espressione della maggioranza.
Il caso richiama il ruolo degli investitori istituzionali e il loro attivismo nella governance delle quotate. Ci si interroga sull'opportunità di un loro maggior coinvolgimento nella vita delle imprese: c'è chi lo auspica come contrappeso al potere dei soci di controllo e chi evidenzia i rischi di shortermism (negli Usa, il periodo medio di detenzione di azioni quotate, in alcuni casi, è di 30 secondi!). Si discute se i fondi svolgano un virtuoso ruolo di pungolo o se distorcano le prospettive strategiche enfatizzando risultati economici di breve periodo e respiro, a scapito di investimenti in ricerca e sviluppo.
In cosa consiste l'attivismo degli investitori istituzionali? In diverse tattiche, con vari strumenti e incidenza in ragione delle regole e degli assetti proprietari prevalenti. Si va da vere battaglie con gli incumbent a colpi di deleghe di voto, se non azioni giudiziarie, alla proposta di scelte imprenditoriali (per esempio sulla remunerazione di amministratori e dirigenti); dall'opposizione a operazioni indesiderabili, a campagne mediatiche o richieste alle autorità di regolamentazione per ottenere modifiche al governo societario.
È anche difficile distinguere fondi che adottano una politica di investimento più passiva da fondi che ingaggiano un più attivo dialogo con i vertici aziendali. Molti di essi seguono un approccio misto e pragmatico. Ciò che si osserva però è che il numero e il rilievo di investitori attivi è in crescita, soprattutto all'estero: a novembre 2014 i fondi attivisti, negli Usa, gestivano 115 miliardi di dollari, +24% rispetto all'inizio dell'anno. Intorno al fenomeno si è sviluppata una vera industria, e si pensi al ruolo dei proxy advisors che si specializzano nel fornire consulenze ai fondi su come votare nelle assemblee societarie.
Anche in Italia, nonostante la tradizionale presenza di soci di controllo forti, si avverte questa tendenza: la vicenda Unicredit, sebbene non frequente, mostra l'influenza che i fondi possono talvolta esercitare. Proprio in Italia, peraltro, il meccanismo del voto di lista, che consente a minoranze organizzate di concorrere alla composizione degli organi di amministrazione e controllo, è un incentivo all'engagement dei fondi. Questa evoluzione è positiva o negativa? Difficile dirlo: resta il fatto che una pluralità di voci e un intenso dialogo con investitori e stakeholder è sì un costo, ma anche un'opportunità.