La fatica di liberalizzare
Da marzo, con la conversione in legge del decreto 1/2012, le liberalizzazioni sono realtà. Il giudizio complessivo dipende dal criterio che utilizziamo: si può, cioè, misurare ciò che si è fatto alla luce di quanto si poteva in astratto fare, oppure valutare le misure introdotte comparandole con gli interventi del passato; considerare come e con quale incisività ha agito il governo in altri settori; o ancora tenere conto dei vantaggi reali per il destinatario finale (il cittadino) e dei costi, in termini di occupazione e di reddito, sopportati dalle categorie interessate.
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Fabrizio Fracchia |
Da giurista, le osservazioni possono essere plurime. In primo luogo, vi è il problema della competenza: il legislatore statale non sempre può toccare i settori sui quali la politica vuole incidere e a volte sceglie di valorizzare il ruolo degli enti locali: la decisione ultima sull'aumento dei taxi, ad esempio, è rimessa ai comuni, forse indebolendo l'incisività della riforma, ma tenendo conto che non tutte le situazioni sono eguali. In secondo luogo, poiché di liberalizzazione (affrancamento del privato dal potere amministrativo nell'accesso al mercato e nell'esercizio di attività economiche) si parla da molto tempo, il quadro giuridico, negli anni, si è complicato. D'altro canto, pur se va ricordato il condizionamento comunitario (la direttiva Bolkestein), si deve registrare una notevole libertà per le scelte politiche. La liberalizzazione, cioè, non è imposta dal diritto ed esso l'ha perseguita in modo non lineare. In terzo luogo, per liberalizzare davvero, in fondo basterebbe individuare le attività del tutto sottratte al condizionamento pubblicistico: ciò è probabilmente impossibile, ma il giurista non può tacere il valore della certezza del diritto e dei tempi. In questo senso andrebbero evitate norme manifesto o disposizioni che rinviano, per la loro attuazione, al futuro.L'art. 1 del decreto, ad esempio, afferma solennemente, ma genericamente, che vanno abrogate tutte le norme del nostro ordinamento che prevedono limiti numerici o condizionamenti che non siano giustificati da un interesse generale o adeguati alle finalità pubbliche. L'individuazione delle attività non liberalizzate sarà effettuata solo con un decreto successivo entro fine anno. Ma l'intervento a favore della concorrenza è difficile anche per una differente ragione, di cui il decreto ha tenuto conto: altro è liberalizzare un settore di mercato ove si richiedono interventi amministrativi che ne accompagnino l'apertura (nel settore dei servizi pubblici o ove esiste un monopolio naturale), altro è intervenire dove gli ostacoli da rimuovere sono solo giuridici (es. nelle farmacie, dove si è ritoccato il numero di abitanti per farmacia con la possibilità di aprire nuove sedi).In un caso si richiede maggior regolazione; nell'altro, sostanzialmente, 'disboscamento' di norme previste in funzione di protezione invece che di cura di interessi superiori e sensibili. Anche per questo il provvedimento normativo è un testo molto complesso, composto di un centinaio di norme che spaziano dalla separazione proprietaria in materia di energia ai taxi, dalle professioni regolamentate (ove si abrogano le tariffe e si prevede la pattuizione di un compenso di massima) alle farmacie, dai notai ai servizi bancari. Più che una cura da cavallo (con una norma secca che liberi davvero l'iniziativa economica da ogni condizionamento) esso, dunque, realizza un programma di dosati interventi settoriali volti anche a riattivare le energie di una società in crisi: il tempo dirà se e come il malato reagirà alla cura.