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La cultura ha fatto goal

, di Federico Farina
Nel 2006 gli spettatori di mostre e spettacoli hanno superato quelli degli eventi sportivi. Ottimo risultato, se si pensa che i fondi sono calati negli ultimi cinque anni. E intanto da Bari arriva una proposta: una borsa delle sponsorizzazioni culturali

E adesso ditelo voi ai calciatori che, se continua così, in Italia dovranno rinunciare a sponsor e stipendi milionari a beneficio di attori, curatori di mostre e direttori di musei. Già, perché il 2006 ha segnato un'inversione di rotta per il nostro Paese, un cambiamento sociologico, culturale e dei consumi, emerso dai dati del IV rapporto annuale dell'associazione Federculture, anticipati nell'annuale conferenza degli assessori alla cultura e al turismo di Bari. Per la prima volta, infatti, l'anno scorso gli spettatori dei teatri e delle mostre hanno superato quelli degli eventi sportivi: 13.5 milioni contro 12.7. Non è l'unico dato a sorprendere nè a essere in controtendenza rispetto alle rilevazioni contenute, per esempio, nell'Annuario della cultura del Touring Club Italiano. Secondo Federculture, per esempio, le mostre hanno registrato nel loro complesso 7 milioni di spettatori, il 42% in più rispetto al 2005, nello stesso anno nel quale, secondo i dati della Lega Calcio, la media di spettatori paganti alle partite del campionato di calcio è stata di 19.511, la più bassa dal 1964. Ma è se più colpa delle vicende di Calciopoli e della violenza negli stadi o merito di una nuova capacità di fare economia della cultura? "Entrambe le cose", risponde Severino Salvemini, professore di Organizzazione aziendale alla Bocconi e direttore del corso di laurea triennale in Economia per le arti, la cultura e la comunicazione (Cleacc). "La materia prima culturale in Italia non manca. Scarseggia piuttosto la capacità di valorizzarla, di farne oggetto di economia e di marketing. Abbiamo ottimi curatori di mostre, archeologi, conservatori, ma quanto a comprensione del mercato, sfruttamento delle risorse economiche, logiche di coproduzione, c'è molto da fare. In Italia ci sono mostre, per esempio, che meriterebbero di essere inserite in un circuito di esposizioni internazionali e di girare i musei di tutto il mondo. Un lavoro che oggi è affidato a professionisti dell'organizzazione, per lo più anglosassoni, agenti veri e propri che, anziché trattare i diritti delle olimpiadi o dei mondiali di calcio, comprano, vendono e piazzano le royalty delle mostre sul mercato internazionale".

Qualche passo, però, a giudicare dalla ricerca di Federculture è stato fatto. E proprio nel momento in cui i finanziamenti statali diminuiscono ancora. In Italia il rapporto tra spesa per la cultura e bilancio dello Stato per il 2007 è dello 0.29%, contro lo 0.35% del 2002. Il nostro Paese, infatti, destina al settore circa 1,860 miliardi di euro all'anno, contro i 5 della Gran Bretagna e della Spagna e gli oltre 8 di Francia e Germania. "La finanziaria del 2005 è stata molto pesante in questo senso", conferma Salvemini, "perché ha tagliato i fondi all'origine, ma soprattutto ha eliminato una serie di contributi agli enti locali che dunque non hanno potuto reinvestirli negli eventi culturali. Un grosso limite, perché nel settore culturale, molto più che lo stato, è il territorio che si muove e che produce. E molto di più che le grandi città possono fare i piccoli centri, Mantova, Modena, Sarzana, Schio... Per investire sulla cultura, infatti, occorre un piano a lungo termine, che richiede stabilità politica, continuità e progetti condivisi".

In fatto di cultura anche i privati possono fare molto. Anzi, se in un Paese come gli Stati Uniti i contributi dei privati valgono il 90% del totale dei finanziamenti, in Italia la cifra arriva appena al 10%. "Questo dato da solo non basta però per descrivere lo scenario degli investimenti privati", obietta Salvemini. "Le aziende, le banche, le fondazioni o gli enti non hanno più da tempo un ruolo di mecenati e non credo che nemmeno l'dea di modificare i regimi fiscali per agevolare gli investimenti in cultura possa cambiare le cose. A questi soggetti interessa avere un altro ruolo, investire su alcune singole manifestazioni culturali per innalzare il livello delle risorse umane sul territorio e trasformarle in un fattore produttivo. Le mostre più frequentate, i siti archeologici, i festival, sono eventi che possono consentire di traghettare un distretto industriale dimesso e in crisi verso un nuovo business, nuove idee, nuove risorse. Mantova e Sarzana sono esempi chiarissimi, distretti industriali tessili e della calza che stanno cercando di capire come, con l'innesto di nuova linfa, possono creare nuove professioni e un nuovo indotto". Nell'ottica di "fare sistema" tra sponsor privati ed enti pubblici, proprio alla Conferenza di Bari è stata lanciata la proposta di creare una Borsa delle sponsorizzazioni culturali, che si realizzerebbe a Milano nel maggio 2008 presso il nuovo polo fieristico di Rho. "Un'iniziativa da accogliere con favore perché oggi esiste una domanda e un'offerta che non sono del tutto trasparenti", commenta Salvemini. "Invece, più il mercato, anche in questo caso, riesce ad essere intelligibile, meglio è".

C'è un'ultima classifica nella quale l'Italia occupa le zone retrocessione, quella relativa all'utilizzo dei fondi messi a disposizione dall'Unione europea. Ci sono, sono assegnati, ma in Italia, a livello regionale, li sfruttano in pochi. "Anche in questo caso, bisogna acquisire delle professionalità specifiche all'interno del capitolo relativo al fundraising", conclude Salvemini. "Perché i fondi sono complicati da chiedere e in Italia, come in molti paesi latini, non abbiamo l'abitudine mentale a confrontarci con i meccanismi dei finanziamenti europei".