Contatti

La crisi ha interrotto un cammino convergente

, di Maurizio del Conte - professore associato di diritto del lavoro alla Bocconi
Lavoro. Dal 2008 in poi l’occupazione è crollata soprattutto nelle regioni più deboli, con tassi di impiego già bassi

I più recenti dati sulle forze lavoro ci riportano con crudezza alla drammatica frattura sociale fra Nord e Sud del paese. Il lento e faticoso cammino verso la convergenza tra mezzogiorno e settentrione è stato bruscamente interrotto con la crisi iniziata nel 2008, che ha fatto segnare una pesante contrazione dell'occupazione nelle regioni meridionali, di oltre tre volte superiore a quella registrata nel Centro-Nord. Tutto ciò in un contesto che, in tempi 'normali', presentava già un tasso di occupazione ai minimi termini. Basti pensare che nel 2007 il tasso di occupazione della popolazione in età compresa tra i 15 e i 64 anni era del 46,5%, contro il 65,4%, del Centro-Nord.

Ciò si aggiunge alla storica arretratezza salariale del meridione, il cui scarto negativo nei confronti della parte alta della penisola si aggira attorno al 20%. In proposito la Banca d'Italia ha osservato come "gli elevati tassi di disoccupazione e d'irregolarità suggeriscono che il livello del costo del lavoro nel Mezzogiorno, pur inferiore a quello del Centro Nord, non consenta l'equilibrio tra la domanda e l'offerta di lavoro, dato il perdurante ritardo di produttività dell'area. In presenza di insufficienti meccanismi di flessibilità salariale, le migrazioni contribuiscono a riequilibrare domanda e offerta". Il problema è che oggi, molto più che in passato, questo fenomeno migratorio produce l'effetto di drenare le risorse più qualificate, contribuendo così al circolo vizioso della progressiva depressione qualitativa, oltre che quantitativa, del lavoro e della produzione nel mezzogiorno. Simbolo del declino industriale del Sud è il piano Fiat di dismissione dello stabilimento di Termini Imerese e di drastico ridimensionamento di quello di Pomigliano d'Arco, proprio quando la stessa azienda automobilistica ha annunciato per i prossimi due anni un ambizioso piano di investimenti di circa otto miliardi di euro, prevalentemente concentrati negli stabilimenti del Nord Italia. E il disimpegno meridionale della Fiat è solo la punta mediaticamente più visibile di un fenomeno dalle proporzioni ben più vaste e sempre più diffuse anche tra le medie e piccole imprese. Una situazione, questa, che il sistema paese nel suo complesso non si può permettere.Che fare? Non vedendosi all'orizzonte segnali forti sul piano politico, sembra quanto mai urgente una scossa che parta dalla base del sistema produttivo, cioè dalle stesse imprese del Sud che oggi sono in bilico fra la sopravvivenza, la chiusura o la fuga in altri territori. In questa prospettiva, l'unica leva a disposizione dei soggetti produttivi per reagire allo stallo politico è la creazione di un nuovo sistema di regole collettive del mercato e dei rapporti di lavoro. Nel recente passato si è fatto un gran parlare dell'agonia delle relazioni industriali, tacciate troppo frettolosamente di essere uno strumento obsoleto, legato a una realtà produttiva definitivamente consegnata alla storia. Ma l'attuale crisi ci ha ricordato che, quanto più i problemi economici colpiscono le fondamenta sociali, tanto più il confronto che si sviluppa nelle relazioni industriali riesce a produrre soluzioni pratiche condivise e, quindi, efficaci. La crisi del lavoro nel mezzogiorno richiede un nuovo sistema di contrattazione collettiva che vincoli gli investimenti privati e gli incentivi pubblici allo sviluppo del lavoro nel territorio, mediante garanzie di stabilità occupazionale e, al contempo, di flessibilità produttiva e salariale oggi non ancora sperimentate. Richiede formule incentivanti che rendano appetibile il lavoro al sud anche per le professionalità più avanzate. Richiede che imprese e sindacati confidino meno nella politica e più nella contrattazione aziendale. Ma per far sì che tutto ciò si realizzi è necessario che le centrali associative datoriali e sindacali dismettano il tradizionale atteggiamento paternalistico verso il sud, delegando ai soggetti territoriali e alla bilateralità quote crescenti di competenze operative in materie chiave come salari, organizzazione del lavoro e formazione professionale.