La carica dei 500: quando la gestione e' messa al bando
Sembra quasi automatico associare il paesaggio, i monumenti, la cultura al marchio Italia; per esprimerci nel linguaggio di management, potremmo dire (e lo sentiamo dire) che il paesaggio, i monumenti e la cultura rappresentano risorse che caratterizzano il nostro paese, lo distinguono dagli altri e che quindi, se ben utilizzate, possono orientare le scelte dei consumatori di tutto il mondo, siano essi turisti in cerca di svago, studenti in cerca di conoscenza, artisti in cerca di ispirazione, professionisti delle filiere culturali in cerca di un'occupazione di prestigio. Per quanto l'analogia sia ardita, e per quanto ci si esprimesse in termini molto diversi, per lungo tempo l'Italia è stata destinazione ideale di prestigio proprio in virtù di queste risorse.
Paola Dubini |
A guardare gli indicatori di risultato, sembrerebbe però che queste risorse non siano più adeguate a essere elemento distintivo del nostro paese, e addirittura fonte del suo vantaggio competitivo: l'Italia fatica sempre più a sostenere la competizione internazionale come destinazione turistica, i consumi culturali da parte delle famiglie italiane calano (e nel complesso, nel 2012, si sono registrati 4 milioni di visitatori in meno nei siti della cultura), e le istituzioni del settore in cui siano presenti professionisti internazionali si contano sulle dita di una mano.
Forse il paesaggio, i monumenti e la cultura non sono più elementi adeguati a segnare l'immaginario collettivo riguardo all'Italia, a esprimere la nostra specificità, a caratterizzare le nostre competenze. Se è così meglio saperlo.
E in questo caso la colpa è del paesaggio, dei monumenti, della cultura? Se pensiamo sia così, bene abbiamo fatto a disinvestire con decisione negli ultimi anni e a portare l'investimento dello Stato ai ridicoli livelli attuali, pari allo 0,16% del pil.
A che serve investire in risorse che non rendono? E quindi allora bene faremmo a togliere i monumenti dal retro delle nostre monete, a cancellare l'art.9 della Costituzione e a trovare nuove icone per il marchio Italia.
La contraddizione è evidente: il consenso non manca quando occorre riconoscere a parole il valore simbolico ed economico del patrimonio, ma nei fatti è molto più difficile da ottenere quando si tratta non già di essere disposti ad investire nelle risorse e nel rafforzamento delle competenze necessarie per la conservazione e la valorizzazione della memoria, ma ancor prima di parlarne, di istruire la pratica.
Intanto, mentre si ritira il ghiacciaio dei fondi e dell'attenzione istituzionale, scopriamo un nucleo di terreno attivo che va sviluppandosi attorno ai materiali morenici; la recente moda dei bandi per l'innovazione culturale ha fatto emergere una vitalità inaspettata da parte di un gran numero di iniziative private, dalle associazioni, alle fondazioni, ad alcune istituzioni culturali particolarmente attente al rapporto con il loro territorio.
Ogni bando in media riceve 500 proposte per progetti di valorizzazione e di conservazione. Molte delle iniziative presentate sono abbozzate e molto difficilmente sostenibili; tuttavia i loro proponenti indicano con chiarezza la volontà di mettere il patrimonio al centro, come bene di tutti e di ciascuno e come elemento di identità, premessa indispensabile perché diventi elemento di attrazione.
È un segnale molto importante, che dice che esiste un tessuto pronto a sostenere una politica di marchio costruita in modo capillare attorno al patrimonio; e che è possibile immaginare una collaborazione fra diverse categorie di attori e fra i grandi attrattori culturali e artistici da un lato e la rete di siti minori dall'altro.
Costruire contesti e mercati perché questo si realizzi è una sfida importante per fare delle nostre risorse artistiche e paesaggistiche un elemento fondante del marchio Italia: in culture we trust.