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La Bocconi sempre più attiva sul mercato internazionale dei PhD

, di Silvia Torretta
Intervista a Fulvio Ortu, direttore della scuola di Phd Bocconi

Si è appena concluso a Boston il convegno annuale dedicato agli economisti di tutto il mondo, che rappresenta anche l'occasione, per i giovani studenti di dottorato, di partecipare a un job market per entrare nelle migliori università internazionali. Di cosa si tratta esattamente?

Si tratta di un importante meeting organizzato dall'American Economic Association e dall'American Finance Association, cui partecipano ogni anno alcune migliaia di economisti provenienti dalle migliori istituzioni accademiche del mondo. Negli anni, a latere del convegno, si è spontaneamente creato un job market degli assistant professor: quale migliore occasione, infatti, per un incontro qualificato tra domanda e offerta, ovvero tra le università in cerca di nuovi docenti da assumere e giovani ricercatori a caccia di opportunità di lavoro a livello internazionale?

E' chiaro che questo appuntamento è settoriale ed è focalizzato sull'economia e sulla finanza, ma esiste qualcosa di molto simile anche per l'area del management e delle discipline aziendali, durante il convegno annuale dell'Academy of Management.

Peraltro stiamo assistendo anche all'emergere di iniziative a carattere "regionale", come in Spagna, dove esiste un job market spagnolo (che si svolge in autunno) in cui le università spagnole, e non solo, incontrano gli studenti di PhD interessati a lavorare in Spagna. A livello europeo, invece, la London School of Economics coordina un evento che si tiene fine gennaio. Al momento possiamo dire il mercato mondiale resta quello di Boston, ma c'è motivo di ritenere che, se Londra avrà successo, potrà forse svilupparsi un interessante circuito europeo.

Quali sono i criteri di assunzione degli assistant professor da parte di una università?

Il punto fondamentale nella decisione di assunzione da parte di un'università sta nella tesi di dottorato, in cui il candidato deve dimostrare di aver raggiunto significativi risultati di ricerca. E' un approccio diverso da quello italiano, da questo punto di vista: che uno studente possa potenzialmente diventare anche un bravo docente è importante, ma la valutazione si basa prima di tutto sulla sua capacità di fare ricerca, e sulla possibilità che questa sia riconosciuta e pubblicata a livello internazionale. Perché alla fine sappiamo che è questo che forma e rafforza la reputazione di una istituzione accademica.
In Bocconi, ormai da anni, riteniamo che questo sia il criterio corretto e il committment del nuovo rettorato, così come evidenziato nel piano strategico, indica che questa è la direzione da seguire.

La Bocconi da anni partecipa a questo mercato: con che obiettivi e con quali risultati?

La partecipazione della Bocconi al meeting risale ad almeno 5 o 6 anni fa, e credo sia l'unica università italiana a prendere parte a questo avvenimento in maniera continuativa e sistematica.
Inizialmente il nostro obiettivo è stato quello di assumere qualificati assistant professor. In questo senso, i risultati ottenuti fino ad ora sono piuttosto positivi: abbiamo attualmente 58 assistant professor, quasi la metà dei quali provenienti da questo mercato internazionale. La loro nazionalità non è molto significativa: quando parliamo di fuga di "cervelli" e di rientro in patria degli stessi in realtà ciò che è importante valutare è che il bilancio entrate/uscite sia positivo, che il valore complessivo delle risorse acquisite – sempre in termini di capacità di ricerca - sia cioè superiore alla perdita dovuta a chi se ne va. Detto questo siamo molto felici di avere attratto in Bocconi almeno una decina di stranieri da tutto il mondo.

Ora però è arrivato il momento di fare un passo in più: la Bocconi deve cambiare ruolo e non partecipare più al job market solo dal lato della domanda, ovvero cercando persone da assumere, ma anche dal lato dell'offerta, proponendo i propri ricercatori alle altre università. Molti nostri laureati, che hanno completato la loro formazione con un PhD all'estero, ora lavorano, spesso ricoprendo cariche prestigiose, in importanti facoltà americane e straniere; quello che ora ci interessa è invece rendere appetibili sul mercato internazionale e presso le migliori accademie i nostri ricercatori, coloro cioè che hanno conseguito un PhD in Bocconi. Questa è la vera sfida che il nostro ateneo ha iniziato a porsi e vuole raccogliere nei prossimi anni.

Già quest'anno, a Boston, due nostri studenti (Marco Aiolfi e Gunther Fink) sono stati intervistati – e pare con buoni feedback - da importanti business school e dipartimenti di economia americani.

Come viene considerata la Bocconi all'estero? È un ateneo richiesto dai giovani PhD?

La Bocconi all'estero è ben conosciuta e la riprova è che quest'anno abbiamo ricevuto più di 300 application per una decina di posti disponibili. In realtà eravamo già apprezzati da tempo come università, ma la cosa significativa è che cominciamo a esserlo anche come valida opportunità di lavoro per ricercatori formatisi a livello internazionale: non siamo ancora competitivi quanto dovremmo essere, ma abbiamo senz'altro imboccato la strada giusta.
All'inizio è stato più facile attrarre gli italiani, poiché per molti stranieri, soprattutto non europei, venire in Italia rappresentava anche un gap culturale abbastanza impegnativo da colmare.
A parità di condizioni sarebbe utile per noi avere più docenti stranieri, visti anche i nostri numerosi corsi di laurea e master in inglese, ma come ho già detto non è il passaporto quello che conta ma la qualità della ricerca e delle doti didattiche della persona. Comunque quest'anno, dei 29 studenti che abbiamo intervistato, solo 7 erano italiani.

Quali sono dunque gli obiettivi della scuola di dottorato Bocconi?

La scuola di dottorato Bocconi, nata da poco e ancora in fase di start up, ha proprio la finalità di offrire dei programmi di PhD in grado di produrre ricercatori che siano richiesti e possano avere successo sul mercato internazionale. Aumentando, di conseguenza, la reputazione della nostra Università a livello mondiale. I nostri sforzi, attuali e futuri, sono dunque in questa direzione.