La banca che va a scuola d'impresa
Vista l'onda lunga della crisi, le ristrutturazioni del passivo diventano il tema di lavoro più importante per le banche che operano nel settore corporate, sia in chiave difensiva sia in chiave proattiva per la creazione di nuovo business.
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Stefano Caselli |
La ristrutturazione del passivo passa per un riequilibrio del rapporto di leva e un intervento sullo stato di fatto dei finanziatori che, a causa della contrazione di fatturato e margini dell'azienda e della riduzione del valore degli attivi, di fatto sostengono un rischio analogo a quello degli azionisti. Il primo passo della ristrutturazione consiste perciò nell'elaborazione e nella conseguente consapevolezza della nuova situazione patrimoniale costruita in base alla reale valorizzazione dei diritti di tutti i portatori di interesse. Ciò impone azioni coordinate e scelte precise di natura finanziaria, economica, di governance e di impiego di capitale.In questo ambito, gli strumenti introdotti nella normativa fallimentare riferiti al piano di risanamento e all'accordo di ristrutturazione hanno contribuito senza dubbio non solo a porre al centro dell'attenzione il tema delle ristrutturazioni stesse ma a facilitare la ricerca di un equilibrio fra le scelte sopra citate. Tuttavia, la crescita della domanda di ristrutturazioni e la presenza crescente di accordi di ristrutturazione che devono essere rinegoziati a causa del peggioramento delle condizioni economiche e finanziarie previste a piano spingono a una riflessione che vada oltre la dimensione normativa fallimentare e si concentri sugli aspetti gestionali e di management riferiti alle banche. A questo proposito, due sono gli elementi di riflessione. Il primo è collegato al tema dell'equity. Molte banche hanno l'esigenza di convertire debito in equity e di assumere un ruolo sostanziale nella governance delle aziende. Questo fatto, ricorrente nella storia delle banche e delle fasi di recessione economica, impone l'adeguamento delle forme di intervento e di gestione. In questo senso, la creazione di task force private equity dedicate al tema delle crisi d'impresa all'interno delle banche (o anche all'esterno) potrebbe essere una scelta adeguata. Tuttavia si tratta di formare un private equity più attento alla costruzione di vantaggi competitivi di lungo periodo per le aziende, meno incline al perseguimento della plusvalenza nel breve e caratterizzato da una matrice industriale. Ciò potrebbe essere sostenuto sotto il profilo della vigilanza da meccanismi di incentivo relativi al capitale assorbito. La sottoscrizione di accordi e piani relativi alla ristrutturazione delle imprese, poi, porta necessariamente a una definizione di un business plan a cui attenersi nel corso del tempo. L'eventuale peggioramento delle condizioni o la manifestazione di eventi non previsti pone alle banche e alle imprese l'avvio di un nuovo processo di ristrutturazione che può mettere a rischio il denaro investito dalle banche e la prosecuzione dell'attività da parte delle imprese. Sarebbe pertanto opportuno introdurre, a livello di prassi operativa e poi a livello normativo, un criterio di check-up del piano di ristrutturazione in corrispondenza di tappe definite ex ante in modo da rendere il piano stesso adeguabile a condizioni evolutive di mercato e, per la banca, da non intraprendere nuovamente un processo gestionale interno di notevole complessità. I banchieri devono quindi affrontare una sfida diversa e forse più complessa rispetto a quelle degli ultimi anni, ma pur sempre una sfida antica, quella del rapporto con la proprietà e il futuro delle imprese.