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Internazionalizzare, non mero export

, di Tomaso Eridani
Ancora limitati l’export e la delocalizzazione delle imprese italiane di arredamento, serve perseguire vere strategie di internazionalizzazione

Limitandosi al mero export della propria produzione locale le aziende italiane del settore arredo hanno dimostrato una scarsa reattività alle opportunità che lo scenario internazionale presenta. Servirebbe invece, come spiega Gabriella Lojacono, della Bocconi, nella sua analisi, una più profonda organizzazione dell'attività internazionale.

Secondo un'analisi di bilancio svolta dalla Bocconi su un campione di 350 imprese (che insieme nel 2004 raggiungevano il 25% dei ricavi relativi all'intero settore arredamento) solo 5 delle prime 50 per fatturato conseguono più dell'80% dei propri ricavi all'estero, quelle tra il 50-80% sono 17. Isolando invece le aziende di alta gamma (15) si vede che la loro quota di export (61%) è nettamente superiore alla media del campione (41%).

Sul fronte della delocalizzazione, secondo un'elaborazione dello studio, l'incremento delle unità produttive all'estero da parte di tutte le aziende del settore dal 2001 al 2005 è modesto, da 42 a 49, e si è realizzato di fronte a una riduzione del fatturato medio per addetto, passato da 115.700 euro a 82.700 euro.

Rispetto ai maggiori paesi europei produttori di mobili, gli italiani sono dunque ancora poco interessati alla delocalizzazione all'estero delle fasi produttive. "Le aziende italiane hanno un forte radicamento al territorio e ridotte dimensioni che rappresentano spesso un limite. Inoltre, c'è spesso la volontà di controllare direttamente la qualità dei prodotti e dei processi produttivi," spiega Lojacono. "In generale le aziende hanno iniziato con l'export e all'export si sono fermate, senza istituire unità specifiche dedicate allo scopo di una vera internazionalizzazione."

Secondo la ricerca Bocconi i principali problemi che destano l'attenzione per i processi di crescita internazionale nelle imprese del sistema italiano dell'arredamento sono: la diffusa mancanza di pianificazione in merito alla scelta dei mercati e alle modalità di ingresso, la difficoltà ad andare oltre l'export, spesso adottato in forma indiretta, la tendenza a replicare all'estero il medesimo approccio al mercato domestico, in termini di offerta e di modalità di vendita, l'esclusione di forme di delocalizzazione da parte delle aziende di alta gamma, la concentrazione dell'export in uno o pochi paesi seguiti da una miriade di mercati che assorbono una percentuale minima delle vendite all'estero delle aziende.

"I limitati investimenti all'estero non sono solo dovuti a fattori economici," spiega Lojacono, "ma anche alla mentalità imprenditoriale, tipica di questo settore, orientata al prodotto. I produttori di mobili si pongono infatti sulla scena internazionale come trend-setter indiscussi del design e ciò potrà risultare deleterio nel lungo periodo. Serve invece adottare un approccio ai mercati esteri più articolato ed evoluto."

Un approccio che deve comprendere investimenti nella distribuzione (per affermare marchio e immagine e controllare maggiormente volumi e prezzi), in filiali commerciali (per un migliore monitoraggio dei mercati), in strutture logistiche (in grado di contenere i costi e ridurre i tempi di consegna) e nei servizi di assistenza alla clientela.