Il video dopo il video
Nei primi anni del XXI secolo, la generazione di artisti visivi emergenti da un'area non centrale e non dotata di un sistema dell'arte forte ed economicamente propulsivo come il Portogallo, ha potuto certificare la propria esistenza e originalità attraverso il video digitale.
Andrea Lissoni |
È così che l'opera di Filipa Cesar, Vasco Araújo o di João Onofre si è prima fatta conoscere e poi si è strutturata. Negli ultimi anni è toccato ai giovani artisti brasiliani passare attraverso il video per scavalcare i limiti di un sistema dell'arte fatto di poche gallerie, quasi nessuna istituzione, se non marcatamente locale, e farsi conoscere fuori dal paese.
Oggi, Tamar Guimarães, Cinthia Marcelle o i gemelli Thiago e Matheus Rocha Pitta sono artisti riconosciuti e premiati e questo si deve in parte alle loro scelte di comunicazione. Ma quanto costa a un giovane produrre un video dagli standard minimi per non essere dilettantesco (escludendo chi, per scelta espressiva e di poetica, opti per un linguaggio povero o low-fi, come il brasiliano Marcellvs L. o il francese Cyprien Gaillard)? Un dato di cui si può tenere conto è il fee di produzione annuale a disposizione degli studenti per l'opera di fine corso di una delle migliori scuole europee fra arte, immagini in movimento (cinema/video) e multimedia in generale, Le Fresnoy di Turcoing-Lille: oltre a essere seguito da tutor-artisti e avere a disposizione attrezzature di ripresa e post-produzione, ciascuno studente può contare su una base di 8.500 euro per un film, un video, un'installazione.
È un riferimento che trova un buon riscontro nei costi medi sostenuti da un artista italiano giovane e con galleria per un'opera video, che raramente sono inferiori ai 10.000 euro. Detto questo, cosa accade a un'artista quando da emergente diventa molto riconosciuto (invitato in mostre collettive e personali)? Perché la produzione di video abbonda all'inizio della carriera e poi sparisce? Gli standard crescono e con loro anche i costi e, normalmente, l'artista passa a formati intermedi: o sono installazioni che integrano proiezioni video o di film (con proiettori 8 o 16mm e pellicola a loop), oppure sono collage fotografici, assemblaggi, progetti, studi per, memory board o pubblicazioni. Entrambi i formati sono naturalmente più accessibili (cioè gradevoli, adatti all'esposizione, rivendibili) per collezionisti e musei. Raramente l'artista prosegue con il video o passa al lungometraggio.
Tuttavia, è anche vero che artisti consolidati come il tailandese Apichatpong Weerasethakul o gli inglesi Ben Rivers o Phillip Warnell non li abbandonano, anzi, integrano nel loro percorso anche l'installazione (video o cinematografica), il live, i formati brevi. Come fanno a sostenersi? Di fatto, quel che cambia radicalmente è l'approccio: Weerasethakul, come Rivers, Warnell ma anche il più maturo (e fedele al rigore del basso costo) Pedro Costa, organizzano in un unico shooting più output possibili. Questo approccio consente economia di scala e maggiore diffusione di qualità (oltre al campo dell'arte, festival cinematografici, di performing arts, rassegne e l'online). Richiede molto più lavoro invisibile e silenzioso, ma garantisce molta più autonomia e, cosa non di poco conto, molta più penetrazione. In poche parole, le opere sono diffuse più orizzontalmente e viste, eventualmente amate o odiate, da pubblici di più discipline.