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Il mercato del lavoro salvato dagli stranieri

, di Fabio Todesco
Gli extracomunitari sono gli unici disposti a traslocare alla ricerca di impieghi più redditizi. Le imprese torinesi possono contare su 35 persone dall’estero per ogni italiano che si trasferisce in Piemonte

Gli immigrati ci servono perché migrano. È in parte per questo che, sebbene gli italiani siano preoccupati dall'immigrazione e vedano in essa solo conseguenze negative, dovremmo consentire l'ingresso nel nostro paese a chi viene da altre aree del pianeta.

L'immigrazione è un fenomeno che ha assunto una notevole importanza all'interno dei mercati del lavoro europei. Ciò nonostante, l'attenzione dell'opinione pubblica sembra concentrarsi più spesso sugli aspetti problematici di questo fenomeno (secondo l'Eurobarometro, il 68% degli italiani pensa che ci siano troppi immigrati in Italia, contro il 52% della media europea), tralasciando di sottolineare gli effetti positivi che flussi migratori anche consistenti ma ben indirizzati possono garantire al nostro paese.

In Italia esistono forti disparità geografiche tra i mercati del lavoro locali: in alcune aree del paese troviamo alti tassi di disoccupazione, mentre altrove le imprese faticano a soddisfare le proprie esigenze occupazionali. Riequilibrare queste di-sparità è importante. Ridurre la disoccupazione ha ovviamente effetti positivi sia per i singoli che per l'economia nel suo complesso. E aumentare l'offerta di lavoro laddove le imprese lo richiedono consente alle stesse di crescere e di contenere un eccessivo surriscaldamento dei salari.

In paesi come gli Stati Uniti un meccanismo importante che consente di riequilibrare i mercati del lavoro locali è la mobilità dei lavoratori che si spostano da aree dove la disoccupazione è elevata e i salari sono bassi verso aree dove forte è la domanda di lavoro e i salari sono elevati. In Europa, e in Italia in particolare, questo avviene in misura limitata.

Con l'introduzione della moneta unica la scarsa mobilità dei lavoratori europei è diventata un problema ancora più grave. Infatti, prima dell'euro le di-sparità tra i mercati del lavoro dei paesi europei si riflettevano in buona misura sui tassi di cambio che, svalutandosi o apprezzandosi, consentivano di riportare l'equilibrio sui mercati. La scarsa mobilità dei lavoratori europei era quindi un problema essenzialmente solo per quanto riguardava le disparità tra regioni all'interno dello stesso paese. Oggi il meccanismo del tasso di cambio non è più disponibile e la mobilità del lavoro dovrebbe essere uno degli strumenti principali per garantire il riequilibrio tra i mercati del lavoro dei paesi europei, un elemento cruciale per la sostenibilità della moneta unica nel lungo periodo.

Tuttavia, i lavoratori europei non amano muoversi. Gli unici che si muovono, innescando il meccanismo di riequilibrio, sono gli immigrati extra europei. Dalle zone ad alta disoccupazione del sud Italia nessuno si sposta più verso il nord, però gli immigrati che arrivano da oltre i confini dell'Unione si stabiliscono principalmente nelle zone a bassa disoccupazione.

Su questo punto i dati sono chiarissimi. I numeri indicano due fatti importanti. In primo luogo, chi migra si dirige principalmente dove c'è lavoro, nelle zone a bassa disoccupazione. Le analisi indicano una chiara e forte relazione negativa tra saldi migratori e tassi di disoccupazione. In secondo luogo, il saldo migratorio esterno è sistematicamente più elevato di quello interno. In Piemonte, per esempio, per ogni 10.000 abitanti sono arrivati nel 2002 oltre 35 nuovi residenti provenienti dall'estero a fronte di un solo nuovo residente proveniente da un'altra regione. Inoltre, questi numeri non tengono in considerazione il fatto che anche tra i residenti che si trasferiscono da una regione all'altra gli stranieri sono quasi il 9% (il che implica che circa il 32% degli stranieri residenti in Italia cambia residenza da una regione all'altra nel corso di un anno).

In Europa e in Italia in particolare, quindi, sono gli immigrati che, spostandosi dove la richiesta di manodopera è più consistente e allontanandosi dalle aree in cui cresce la disoccupazione, garantiscono un minimo di flessibilità ai nostri mercati del lavoro. Senza di loro le pressioni salariali nelle zone dove la domanda di lavoro resta insoddisfatta impedirebbero alle imprese di crescere e creare nuovi posti di lavoro, anche per i nativi.

di Michele Pellizzari
assistant professor di microeconometria
Università Bocconi

Questo approfondimento è collegatop al focus "Gli immigrati egiziani? Sono consumatori postmoderni"