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Il lavoro si fa liquido e noi ci lasciamo travolgere

, di Vincenzo Perrone - Full professor di organizzazione aziendale, Universita' Bocconi
L'ufficio tracima in casa e in famiglia. Lo si accetta per paura, per convenienza o provandoci del gusto

Il 2010 sarà l'anno del lavoro: da non perdere, da ritrovare o da trovare per la prima volta, per rimettere in moto quella mobilità sociale che si è inceppata con il rischio di condannare il nostro paese all'asfissia. I giovani, che vedranno allungarsi i tempi del primo impiego, e chi ha perso il lavoro nella mezza età subiranno i contraccolpi più duri. Ma il momento di forte incertezza produrrà effetti anche su chi non ha mai perso il lavoro, accentuandone la caratteristica emergente della liquidità, o pervasività.

Il lavoro si espande nella vita di molti, proprio come un liquido. Ha perso forma e struttura per il venir meno di parametri certi nel tempo e nello spazio. Le ristrutturazioni costringono chi rimane in azienda a fare di più con meno risorse e l'intensità del lavoro, di conseguenza, aumenta. Anche una azienda come Fiat diventa il riferimento organizzativo di questa nuova intensità: con gli stessi manager che cumulano ruoli in luoghi divisi tra loro da un Oceano. Con strutture appiattite e decine di riporti diretti e con l'idea che solo l'occhio del manager, senza troppe mediazioni e accompagnato da una mano che si posa su tutto, ingrassa il business. Chiunque abbia responsabilità anche minime dà per scontati straordinari, reperibilità telefonica, lavoro a casa e riunioni nel fine settimana. Il lavoro ha rotto da tempo le catene del "dalle 9 alle 5", e ora si insinua, aiutato dalla tecnologia, in spazi e tempi finora ritenuti privati. Abbiamo assecondato questa evoluzione per paura, per convenienza e perfino provandoci gusto. La situazione di incertezza relativa al posto di lavoro ci spinge ad accondiscendere a richieste di maggiore impegno e produttività. Ma se è vero che il lavoro si inserisce nella vita privata, è vero anche l'opposto. Rispetto al passato, oggi è tecnicamente possibile, e tacitamente tollerato, organizzarsi le ferie utilizzando la Rete dell'ufficio, fare qualche telefonata privata, chattare. In questo mescolamento tra lavoro e non lavoro si apprezza la discrezionalità nell'uso del tempo e il senso di potenza che ci dà, ma si sottovaluta il prezzo che paghiamo. Acrobati del multitasking, rischiamo la sindrome da deficit di attenzione: ovvero l'incapacità di rimanere focalizzati su una questione alla volta, dedicandole tutte le nostre capacità.Rischiamo di perdere quello che ci serve di più in un mondo complesso: la capacità di distinguere, di affinare lo sguardo, di cogliere le differenze anche quando sono sfumate, di avere pazienza, di abbassare la voce fino a spegnerla per ascoltare meglio. Il 2010 potrebbe anche essere l'anno della presa di coscienza. Chi ha perso il posto a causa di una ristrutturazione, chi invece ha perso gli affetti familiari o la salute facendo sempre più vasche su vasche nella piscina del lavoro liquido, si mette in discussione e, in alcuni casi, reagisce. Chi capisce che, per governare la vita, si deve governare il tempo, cerca lavori che abbiano un ritmo diverso, immagina la possibilità dello slow work. Va in questa direzione la riscoperta della terra e dell'agricoltura che si registra, ancora in forma di nicchia, da qualche tempo. Un'altra reazione è quella della riscoperta dell'uomo artigiano, ben descritto nel libro di Richard Sennett, che recupera il gusto del lavoro attraverso le mani, la competenza, i tempi giusti, la soddisfazione del risultato concreto. Neppure il 2010 sarà, però, un anno di cambiamenti radicali, come quelli ai quali sembravamo tutti disposti quando la crisi faceva più paura e mostrava in modo chiaro il lato folle del sistema che ci siamo costruiti. Consulenti, manager, imprenditori e banchieri stanno ricominciando il loro business, as usual. L'idea sostenuta da Sarkozy e dall'ennesima commissione francese che si possa sostituire l'obiettivo della crescita del pil con qualcosa di più sensato e più vicino al fine di essere tutti più felici, ha provocato un articolo su qualche giornale e molti sorrisetti di scherno. E invece a volte converrebbe a tutti fermarsi un attimo e immaginare che lo scenario visionario del film Matrix non sia poi così distante dalla nostra realtà: chi e cosa governa davvero la nostra vita? Quanta felicità per minuto produciamo per noi, per gli altri e per il pianeta? Sono domande scomode, che non tutti hanno il lusso di potersi permettere, ma che fanno la differenza, almeno, tra consapevolezza e narcosi. E il mondo del lavoro difficile e globale che ci aspetta richiede persone sveglie. E allora: pillola azzurra o pillola rossa?