Il cancro dell'economia criminale
Lavorano nell'ombra, in eleganti studi professionali ubicati nei più esclusivi quartieri delle principali piazze finanziarie mondiali. Hanno conseguito lauree e master in prestigiose università, parlano diverse lingue e dispongono di una ampia rete di relazioni in ambienti economici e politici locali ed internazionali. Sono i colletti bianchi, soggetti che, grazie alle loro competenze professionali e alle loro entrature, rappresentano la chiave in grado di dischiudere agli esponenti del crimine organizzato le porte della finanza internazionale. Gestiscono un flusso di denaro che, secondo le stime di diversi organi internazionali (fra cui l'Fmi) oscilla fra i 600 e i 1.500 miliardi di dollari l'anno nei soli Stati Uniti, mentre nel nostro paese (secondo quanto riportato da Bankitalia) ha dimensioni di poco superiori al 10% del pil nazionale.
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Giuseppe Pogliani |
Tanto che si tratti di soggetti contigui o di veri e propri organici delle organizzazioni criminali, il loro compito è quello di architettare le più idonee e complesse strategie utili a riciclare il denaro proveniente dalle lucrose attività illegali.
Il loro ruolo è fondamentale; senza il loro ausilio il denaro sporco sarebbe un ricavato inerte, utile solo a rifinanziare nuove attività illecite in una sorta di circuito chiuso. Grazie a questi professionisti, invece, i proventi sono introdotti nel circuito legale, ottengono potere di acquisto e danno la possibilità ai criminali di accedere a sempre più estesi settori produttivi, condizionandoli al punto, come testimoniano i dossier dell'Agenzia informazioni e sicurezza interna, da falsare la reale percezione della portata economica di molti investimenti.
Il riciclaggio è talmente strategico che i grandi gruppi criminali avviano un'attività illegale solo se hanno la consapevolezza di poter ripulire i proventi che andranno a ottenere; è chiaro allora che il lavoro svolto dai colletti bianchi è il pilastro su cui essi fanno affidamento.
Ma ciò non basta; sono proprio questi professionisti ad avere reso, con le proprie competenze di prim'ordine, particolarmente rapido ed efficace l'adattamento della criminalità organizzata alle complessità e alle dinamiche della contemporanea "network society", consentendogli di muovere un attacco concentrico alle istituzioni, permeandone il tessuto sociale in ogni strato.
A ragione Moises Naim, ex direttore della Banca mondiale, sostiene che, soprattutto in questi tempi di crisi, il potere finanziario detenuto dalla criminalità e la sua capacità di pressione sia tale non solo da indurre diversi soggetti ed enti a chiudere un occhio di fronte alle richieste di "collaborazione" da queste provenienti ma, addirittura, da rendere inefficaci buona parte delle norme di contrasto messe in atto. A fronte di ciò stupisce che ancora oggi, nel nostro paese, sussista una persistente refrattarietà ad affrontare in forma sistematica il fenomeno della contiguità fra professionisti, uomini d'affari e criminali.
Un quadro esasperato e pessimista? No, semplicemente l'illustrazione di uno stato di fatto. Quale la soluzione allora? È noto che quando le istituzioni non sono in grado di proteggere i propri cittadini e risolvere le loro dispute gli individui si rivolgono a fonti di protezione alternative e il crimine organizzato si pone come il più efficace interlocutore. Di conseguenza la condizione essenziale per attuare efficaci politiche di prevenzione e contrasto del fenomeno criminoso nell'economia reale inizia dalla tutela dello stato di diritto e dal rispetto della legalità.
Se sono da encomiare iniziative quali quelle recentemente intraprese dagli ordini professionali per l'adozione della Carta etica, è ancor più auspicabile che ogni singolo operatore dia enfasi nelle proprie attività al rispetto delle regole e non faccia assurgere, come purtroppo a volte accade, al ruolo di fattore critico di successo la capacità di aggirare le medesime.