I tre pilastri del nuovo ordine
Il G20 di Pittsburgh ha segnato una svolta nella gestione dell'economia mondiale. Anzitutto per la volontà, espressa dalle economie che rappresentano l'85% del pil mondiale, di stimolare la ripresa con politiche economiche bilanciate e coordinate. Altrettanto importante l'approccio coordinato che è sfociato nello schema di nuova architettura per la gestione dell'economia mondiale.
Il G20 si è proposto come il centro delle decisioni politiche, un foro credibile grazie alla sua ampia e bilanciata rappresentatività. Buona notizia è che il G20 intende realizzare le sue decisioni attraverso le istituzioni esistenti, rafforzandole. Al vertice l'Fmi, dotato di maggiori mezzi e riequilibrato nella ripartizione dei voti. Il Fondo riprende quel ruolo centrale in materia monetaria e di assistenza agli squilibri che sta alla base della sua esistenza. Il nuovo Financial stability board presieduto da Draghi ne è una costola, il braccio indipendente destinato a vigilare sui mercati finanziari e assicurarne la stabilità sulla base di regole certe.Secondo pilastro, la Banca mondiale, la cui missione è di sostenere lo sviluppo nell'ottica della riduzione della povertà.Infine, è esaltato il ruolo del Wto, non più fratello minore di Fondo e Banca, ma parte di una triade cui è affidato il sostegno della ripresa e, insieme, il ruolo di assicurare un quadro certo sostenuto da impegni condivisi. Sotto la guida del direttore generale Pascal Lamy, il Wto si è guadagnato questo riconoscimento. Già a Londra, in aprile, i paesi del G20 avevano espresso un serio impegno per la conclusione entro il 2010 del Doha Round, i cui negoziati si trascinano da troppi anni a Ginevra. In parallelo i G20 hanno riaffermato la volontà di astenersi da misure protezionistiche, affidando al Wto il ruolo di guardiano di questo impegno.Ma quali sono in concreto le prospettive? Sulle misure protezionistiche, le valutazioni sono divergenti: gli osservatori hanno contato oltre 100 misure protezionistiche negli ultimi mesi, l'ultima e più eclatante il sovradazio Usa del 35% sui pneumatici cinesi. La misura è stata però giustificata addirittura dal Nobel Paul Krugman come pienamente legittima (mentre l'Economist la denunciava come allarmante). In effetti le regole del Wto consentono misure di salvaguardia e anti-dumping in casi dimostrati di squilibri imprevisti negli scambi e per contrastare politiche scorrette all'export. Anche l'Unione europea è intervenuta, spesso su richiesta dell'industria italiana. Il fatto certo è che la temuta svolta protezionistica non c'è stata, che il commercio internazionale è sì calato del 10% ma a causa della riduzione della domanda, non per effetto di barriere artificiali. Il quadro giuridico del Wto ha tenuto bene, in particolare grazie al suo sistema di soluzione delle controversie. Anzi, il Wto è uscito rafforzato grazie alle nuove competenze di sorveglianza che si è visto attribuire.È ora quindi di concludere il negoziato commerciale multilaterale lanciato a Doha nel 2001. È necessario che l'impegno solenne del G20 si traduca in un accordo, anche se le questioni sono molte e la numerosità dei partecipanti e i loro molti interessi rendono complesso quel risultato 'inclusivo' cui punta Pascal Lamy. In concreto, si tratta di scambiare la riduzione dei sussidi agricoli dei paesi del Nord contro l'apertura ai prodotti finiti da parte dei paesi emergenti, con l'aggiornamento per tutti del sistema delle regole e delle eccezioni. Una spinta di 700 miliardi di dollari l'anno per l'economia mondiale. La conclusione del Doha Round è necessaria anche per un'altra ragione. Incombono nuove sfide, come quella della protezione ambientale con la conferenza 'Kyoto 2' di Copenaghen. Basti pensare ai rischi di protezionismo insiti nell'introduzione della carbon tax a livello nazionale per contrastare il surriscaldamento globale. Nuove regole saranno urgenti e il Wto dovrà essere attrezzato a gestirle.