I musei italiani? Tanti, piccoli e quasi sempre pubblici
Un maratoneta russo che volesse allenarsi al riparo dei rigori dell'inverno potrebbe scegliere i corridoi dell'Hermitage, che si snodano per ben 31 chilometri. Il grande museo di San Pietroburgo, però, non è l'unico caso di gigantismo in questo campo: lo Smithsonian di Washington, per esempio, conta su oltre 4.500 dipendenti, un numero ingente ma necessario per un'istituzione che, nel 2005, ha accolto oltre 24 milioni di visitatori. Ma i musei che superano il migliaio di dipendenti sono diversi, dal Louvre al British, dalla Tate Gallery al Pompidou, con il conseguente ricorso a budget faraonici.
In Italia, invece, il "gigantismo" non esiste e nemmeno i budget faraonici. Lo spiega Silvia Bagdadli, professore associato di organizzazione aziendale e docente del Laboratorio "Musei e mercato dell'arte" presso il Corso di laurea in Economia e management per le arti, la cultura e la comunicazione (Cleacc) dell'Università Bocconi: "L'Italia è caratterizzata da una miriade di musei dislocati su tutto il territorio nazionale ma perlopiù di piccole dimensioni. Gli stessi Uffizi, che hanno a disposizione circa 5.500 mq di spazi espositivi, non sono certo paragonabili ai grandi musei europei e mondiali. Questo comporta una maggiore difficoltà nella gestione, a cui si cerca di ovviare ricorrendo a sinergie e riunendo i musei in vere e proprie congregazioni museali". In Francia, per fare un esempio geograficamente a noi vicino, la quasi totalità dei musei è invece a Parigi e nell'Ile de France, nel resto del paese vi è molto poco.
Alcuni dati: gli Uffizi di Firenze, per esempio, nel 2006 hanno registrato 1.600.000 visitatori contro gli 8 milioni del Louvre, il Museo Egizio di Torino 500.000, la Pinacoteca di Brera, a Milano, poco oltre i 200.000. Per trovare dati paragonabili alle grandi istituzioni museali mondiali bisogna citare il Circuito archeologico Colosseo e Palatino con circa 4 milioni di visitatori, non un museo in senso stretto.
L'Italia, secondo dati dell'Unesco, ospita circa il 75% del patrimonio culturale mondiale ("l'Unesco ricava questo dato come proxi dai furti denunciati sul totale del patrimonio, e dunque sarebbe da verificare", puntualizza Bagdadli), con circa 4 mila tra musei e aree archeologiche, perlopiù di proprietà pubblica. "Circa il 15% dei musei sono di proprietà dello Stato", spiega, "il 45% dei Comuni e un altro 4/5 % di Province e Regioni, vi sono poi quelli di proprietà della Chiesa (14% circa), delle Università (5%) e infine i musei privati (16%)". Sommando le varie voci, quindi, si vede come in Italia circa il 65% dei musei sia a gestione pubblica. "In termini di autonomia e organizzazione, i musei sono totalmente integrati nel sistema e nella burocrazia pubblici. L'aspetto critico, in particolare, è la non possibilità di gestire direttamente il personale, soprattutto quelle categorie, come i custodi, che hanno una forte sindacalizzazione al loro interno e che rappresentano la parte preponderante del personale impiegato nei musei (oltre il 50%), con una parte nettamente inferiore di personale tecnico scientifico (circa il 15%)".
I grandi musei statali sono gestiti dalle Sopraintendenze (31 sul territorio nazionale), che rispondono al Ministero dei Beni e Attività Culturali, delle quali i musei costituiscono un 'ufficio'. Vi sono poi dalla fine degli anni 90 quattro Sopraintendenze speciali per i poli museali di Roma, Napoli, Firenze e Venezia che godono di maggiore autonomia.
I maggiori proprietari di musei in Italia sono i Comuni che prevalentemente li gestiscono in maniera diretta. In alcuni casi, però, sono stati trasformati in fondazioni. E' quello che è avvenuto a Torino con i Musei Civici, trasformati prima in Istituzione (L.142/90) e poi in Fondazione. "La cosa 'emblematica'", dice la docente della Bocconi, "è che nessuno del personale, eccetto il direttore, ha accettato di transitare nella Fondazione preferendo rimanere in un altro ambito del settore pubblico. Un caso particolarmente significativo di trasformazione in Fondazione è quello del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano", spiega Bagdadli, "che negli ultimi 7/8 anni ha compiuto grandi passi in avanti in termini di servizi, comunicazione, budget legati a risorse provenienti da sponsorizzazioni, incrementando sensibilmente anche il numero di personale" e questo grazie a un leader capace di attivare un reale processo di trasformazione del museo in azienda.
La commistione pubblico-privato non è però una novità. I grandi musei hanno da tempo esternalizzato, attraverso gare d'appalto, la gestione di alcuni servizi. Le biglietterie, le mostre, le aree didattiche sono spesso in mano a privati, più attenti ad una gestione di tipo imprenditoriale, ma proprio per questo con il rischio di non valorizzare quei siti e quei musei che attirano meno visitatori. Il privato, cioè, tende a focalizzarsi sui siti più visibili.
Come abbiamo detto, i musei di proprietà pubblica sono finanziati quasi totalmente dallo Stato, con l'eccezione di una piccola parte dovuta ai biglietti di ingresso: i più virtuosi arrivano al massimo al 10% delle proprie risorse proveniente dal ticketing, percentuale che può salire per i musei privati. Per quanto riguarda le uscite, il personale incide per il 50/70% dei costi nel pubblico, per il 45% circa nel privato. "Il resto viene destinato alla tutela delle opere e a nuove acquisizioni, che però", sottolinea Bagdadli, "nel pubblico sono quasi assenti, vista anche la mole di opere custodite nei depositi dei musei e non esposte per mancanza di spazi adeguati".
"Da noi, a partire dalla legge Bottai del ventennio fascista, si è sempre ragionato in termini di tutela e conservazione", aggiunge, "solo di recente si è cominciato a parlare di valorizzazione. I soldi sono pochi, ben vengano quindi le collaborazioni dei privati ma non bastano: ci vogliono direttori e personale adatto. Per guidare un museo, se non si riescono a trovare in un'unica figura doti scientifiche e manageriali, ci vuole una squadra dove si uniscano elevate professionalità scientifiche con più specifiche qualità manageriali".