Happy birthday, Europa!
A ben guardare, nello studio di Carlo Secchi, ex rettore della Bocconi e professore di Politica economica europea, la cartina dell'Unione europea non c'è. C'è però un mappamondo, come a ricordare a chi entra che se ci si vuole occupare del futuro dell'Europa non si può non avere un occhio al mondo intero. Un monito per tutti e in particolare per la classe dirigente dei paesi europei.
L'Europa compie cinquanta anni: quale spirito ha animato i padri fondatori e cosa ne è rimasto oggi?
Il loro scopo originario era di progredire verso l'integrazione economica facendo leva su interessi comuni, ma con uno scopo politico fondamentale: quello di avviare un percorso di unificazione degli stati europei, con un approccio funzionalista, per eliminare il rischio di nuove guerre e per coglierne i benefici. Il successo di questa strategia è stato clamoroso perché i sei sono diventati ventisette, di conflitti nello spazio europeo non si parla più e gradualmente si è realizzata un'unità di intenti su tematiche sempre più importanti. Certo, rimangono molti problemi aperti, ma solo chi non sa leggere la storia e i fatti può negare che di strada ne è stata fatta moltissima.
Quali sono i problemi maggiori che rimangono ancora sul tappeto?
L'unione europea è sicuramente un caso di successo dal punto di vista economico: mezzo miliardo di persone e il più importante mercato al mondo. Dove il percorso si è rivelato molto più accidentato è sul piano della politica estera, ovvero il ruolo dell'Europa nel contesto mondiale, con gli ambiti collegati della politica di difesa e di tutela della sicurezza. In questi anni la Nato ha svolto un ruolo di supplenza in materia, ma con la fine della Guerra Fredda tra i più importanti stati europei sono aumentate le diversità nelle strategie e nell'unità di intenti. Ciò si è riflesso nei rapporti tra Europa e Stati Uniti, che sembrano meno floridi di quanto in effetti siano. Lo stesso stallo della Costituzione europea è una riprova della mancanza di unità sul piano politico.
In un prossimo futuro l'Unione europea potrà diventare un agente forte sullo scacchiere internazionale, soprattutto rispetto agli Stati Uniti?
Già da adesso potrebbe essere così se ci fosse quella unità d'intenti che manca. Mentre nell'economia c'è un intreccio di concorrenza e cooperazione con gli Usa, sul piano politico vi è l'idea che siamo due aree in conflitto tra loro: nell'immaginario collettivo prevalgono gli elementi di divisione. L'Europa ha bisogno degli Stati Uniti e viceversa. Non solo, il mondo ha bisogno che vi sia questo duo che contribuisca a migliori assetti sul piano economico e della pace. Bisogna impegnarsi in questo senso, perché il rischio è che gli Usa tornino a un approccio isolazionista, da quale entrambi abbiamo da perdere.
La carenza di slancio unitario sul piano politico si è riflessa sui referendum del 2005, che in Francia e Olanda hanno bocciato la ratifica della Costituzione europea.
Il problema di fondo è l'inadeguatezza dell'attuale classe politica, che è portata ad un uso strumentale, per fini interni, delle grandi questioni comuni. E' un'inadeguatezza che consiste nel rincorrere gli aspetti più emotivi o superficiali che possono far presa sull'opinione pubblica piuttosto che svolgere una vera funzione di leadership che implica una visione strategica e la capacità di guidare i propri cittadini verso obiettivi meno contingenti. Finché esisteva la Cortina di Ferro era più facile far mantenere i ranghi serrati: con la caduta del sistema sovietico, i pericoli sono percepiti come meno urgenti e le classi politiche non svolgono il ruolo di spiegare che in realtà vi sono pericoli molto seri nel campo della sicurezza, legati al terrorismo, e di tipo economico.
Per esempio?
La globalizzazione. Bisogna cogliere il proprio ruolo nella nuova realtà dell'economia globalizzata con azioni coerenti sia sul piano interno che su quello esterno. Sul piano interno bisogna procedere a quelle riforme di struttura che consentono di godere a pieno dei benefici dell'unione economica e monetaria, gli obiettivi dell'Agenda di Lisbona. Sul versante esterno, l'Europa come grande sistema economico può svolgere un ruolo di equilibrio nell'economia globalizzata. Però, per farlo, deve avere una sufficiente statura politica, per la quale serve una politica estera seria e adeguata.
Torniamo all'opinione pubblica: sembra quasi che l'idea dell'Europa unita non piaccia più ai cittadini europei. Come mai?
Per tre motivi. Primo, il malvezzo delle classi politiche nazionali di addossare all'Europa la colpa di tutti i malfunzionamenti. Secondo, come già detto, le minacce odierne sono meno percepibili per l'uomo della strada rispetto a quelle della Guerra Fredda. Il terrorismo non è avvertito come una minaccia che richiede una tensione unitaria e strumenti adeguati. Il punto chiave è che ogni paese affronta la questione a modo suo, salvo poi ritrovarsi un'emergenza. Il terzo motivo è il tipico dilemma del bicchiere mezzo vuoto: ognuno vede ciò che va storto, dando per scontati i risultati conquistati in questi cinquanta anni nel campo economico, della libertà e della crescita da tutti i punti di vista.
Quali sono i vantaggi che i nuovi membri dell'Unione possono dare all'Europa?
Sul piano politico hanno una maggiore freschezza rispetto a noi, possono contribuire a desclerotizzare i vecchi quindici. Che Romania e Bulgaria crescano è anche nel nostro interesse, poiché diventano mercati appetibili per le nostre imprese.
E la Turchia?
E' un tema più complicato e ci sono di mezzo anche i Balcani. La vera soluzione al problema dell'instabilità di quest'area è ammettere tutti questi paesi, quando le condizioni saranno verificate, nell'Unione. Ma se per i paesi balcanici si tratta di un problema di sicurezza dell'area, per la Turchia la questione più strategica: è membro della Nato ed è un ponte col mondo islamico. Il problema è che la Turchia è molto grande e dovrà fare molta più strada verso la modernizzazione. E' inevitabile che il risultato finale sia comunque l'adesione all'Unione: lo scenario alternativo sarebbe disastroso.
Il discorso sull'annessione della Turchia tira in ballo la presunta perdita delle radici giudaico-cristiane dell'Europa, paventata da più parti.
L'Europa finisce dove è diverso il sistema di valori condivisi. Si pone allora un problema di immaginare un'Europa che sia ad un tempo multiculturale e interculturale: é una sfida che, se raccolta in modo intelligente e costruttivo, diventa un servizio enorme per il mondo intero.
Una riflessione conclusiva sul futuro dell'Europa?
La classe dirigente e i cittadini europei hanno la testa un po' logorata. Occorre freschezza, un approccio nuovo e giovane. L'Europa del futuro dipende da come i giovani sapranno prendere in mano la situazione. A condizione che non ci si dimentichi del passato e non si viva nell'illusione che tutte le conquiste fatte sino ad oggi siano date una volta per tutte.