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Giu' la penna dalla rappresentanza

, di Maurizio Del Conte - professore di diritto del lavoro
Legiferare in materia, dopo che Confindustria e sindacati confederali hanno raggiunto un accordo, sarebbe inutile

Ripristinare un sistema di contrattazione collettiva ordinato ed esigibile attraverso regole certe e verificabili sulla rappresentatività dei sindacati. Oggi è questo il nodo più intricato delle nostre relazioni industriali. Per risolvere il problema, da più parti si è invocato l'intervento del legislatore e anche nel Jobs act presentato dalla nuova segreteria del Pd si richiama la necessità di una legge in materia sindacale. Eppure, vista la generale confusione di idee in materia, persino Pietro Ichino, fra i più autorevoli sostenitori della soluzione legislativa, è consapevole dei rischi di affidare la questione al Parlamento, tanto da esprimere la preoccupazione che lo stesso disegno di legge da lui presentato possa uscire stravolto dal percorso parlamentare.

Maurizio Del Conte

Ma, allora, è proprio necessario l'intervento del legislatore? In realtà, definire una volta per tutte, attraverso lo strumento rigido della legge, le regole che governano gli equilibri di forza fra i sindacati, rischia di produrre ulteriori incertezze e conflitti nel già turbolento sistema di relazioni sindacali del nostro paese. Innanzitutto, perché la staticità della legge non consentirebbe quegli aggiustamenti "politici" che si rendono necessari in ragione dei continui mutamenti di scenario nella dinamica evolutiva delle relazioni industriali. Non è un caso che, nel 1970, l'avveduto legislatore dello Statuto dei lavoratori si fosse tenuto alla larga dall'indicare criteri precisi per selezionare le rappresentanze sindacali aziendali, stabilendo il parametro, aperto e rimodulabile nel tempo, della "maggiore rappresentatività". D'altra parte non si può non rilevare che imporre l'efficacia generalizzata dei contratti collettivi per legge non impedirebbe ai lavoratori dissenzienti, magari con l'appoggio non dichiarato del sindacato finito in minoranza, di contestarli attraverso l'esercizio del diritto di sciopero, che nel nostro ordinamento – a differenza di altri, come quello tedesco – resta nella disponibilità individuale dei lavoratori e non dei sindacati. E non c'è nulla di più destabilizzante di un contratto collettivo valido sulla carta ma disatteso nella sua applicazione concreta.

Lo statuto fondativo del nostro sistema sindacale si incardina sul mutuo riconoscimento dei soggetti che ne fanno parte e sul consenso che, non per legge ma nella effettività delle relazioni intersindacali, essi sono in grado di raccogliere. Perciò un sistema di regole di cui siano fonte gli stessi protagonisti delle relazioni industriali offre maggiori garanzie di essere rispettato dai sindacati e, di riflesso, dai lavoratori. La via degli accordi intersindacali ha, già in passato, aiutato l'Italia ad affrontare momenti di crisi, superando con successo sfide difficili, come quella dell'ingresso nell'unione monetaria negli anni novanta. Il 10 gennaio 2014, senza chiedere aiuto ad un legislatore che da molto tempo si occupa più di numeri che di idee, i sindacati confederali e la Confindustria hanno sottoscritto il testo unico sulla rappresentanza proprio con lo scopo di restituire l'unità contrattuale nel rispetto del pluralismo delle posizioni, secondo il principio democratico di maggioranza. Tutto ciò si potrà tradurre, in concreto, nella certezza dei diritti e delle regole stabilite nei contratti collettivi. La vera sfida, adesso, è quella di dare piena attuazione al testo unico del 10 gennaio, non quella di gravare l'agenda politica con un nuovo scontro ideologico attorno ad una improbabile legge sulla rappresentanza sindacale.