Francia e Italia, gemelle diverse
Storia, tradizioni e interessi che hanno da sempre accomunato Francia e Italia hanno condotto anche all'adozione di normative societarie simili se non addirittura uguali in molti istituti, a fronte di una comunanza di problemi di fondo: la necessità di tutelare il risparmio investito nell'impresa e di istituire adeguati sistemi di amministrazione e controllo e l'esigenza di assicurare adeguata tutela ai terzi che entrano in rapporto con la società. Tuttavia, la disciplina francese appare più snella e meno formale di quella italiana, non stretta tra lacci e lacciuoli che spesso imbrigliano i nostri operatori e a volte ne scoraggiano l'iniziativa. Punti di forza della famosa legge francese n. 66-537 del 24 luglio 1966, oggi inglobata nel code de commerce unitamente ad altre disposizioni legislative, sono, da un lato, il costante aggiornamento, teso a mettere a disposizione delle imprese schemi e regole al passo con i tempi, e, dall'altro, l'aver già ammesso da un ventennio circa sia le associazioni di azionisti sia le associazioni di investitori, con il compito le prime di informare, formare e rappresentare i soci della società e le seconde di occuparsi della difesa degli interessi dei possessori di strumenti finanziari, chiunque essi siano. Quindi una normativa che non dimentica di tutelare le minoranze e gli investitori.
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Paola Balzarini |
Quanto ai sistemi di amministrazione e controllo (ricordando che in Francia come negli altri paesi europei non esiste un organo paragonabile al nostro collegio sindacale), già nel 1966 il legislatore francese ha adottato, mutuandolo dall'ordinamento tedesco, il sistema che oggi in Italia viene definito dualistico. Questo sistema, pur se meglio costruito e regolamentato rispetto al nostro, caratterizzato da una migliore distribuzione dei poteri tra il directoire, effettivamente indipendente, e il conseil de surveillance, con l'attivo ruolo di controllore permanente della gestione, non ha incontrato particolare apprezzamento nemmeno in Francia, similmente alla Germania, sua patria di origine. Un numero esiguo di società ha abbandonato il sistema tradizionale per abbracciare il sistema dualistico. E tale insuccesso accomuna la Francia all'Italia, dove tuttavia la scarsa propensione verso tale sistema sembra però motivata più dalla complessità e farraginosità delle norme, dalla poca chiarezza su alcuni punti fondamentali, che dal comprensibile timore verso l'innovazione che potrebbe spaventare gli operatori economici. E in Italia, ad allontanare dal sistema dualistico ha contribuito anche il fatto che le poche società che lo avevano adottato sono poi tornate al sistema tradizionale.
Altro aspetto importante del diritto societario francese è il ruolo riconosciuto ai salariati nella moderna impresa, attraverso strumenti quali la distribuzione di utili, l'assegnazione di azioni, l'affermazione di un diritto di controllo e d'informazione, la partecipazione diretta dei dipendenti all'amministrazione sociale. Un azionariato dei dipendenti più avanzato rispetto alle timide iniziative messe in atto in Italia.
Il vero punto di forza del sistema francese è però rappresentato dal fatto che il legislatore da tempo – nell'ambito di una sempre più marcata distinzione tra società quotate e non quotate – ha saputo creare nuove forme di investimento nelle imprese, allo scopo di assisterle nelle diverse fasi di vita e di crescita. A questi metodi di finanziamento dovrebbe ispirarsi il nostro legislatore, posto che le innovazioni contenute nella riforma societaria del 2003 non hanno raggiunto gli obiettivi prefissati: dall'esperienza francese potrebbe partire l'iniziativa italiana tesa a rivitalizzare le società e a metterle in condizioni di operare al meglio e di essere competitive sul mercato internazionale.