Fondi salva imprenditori. Piu' razionalita' e valore
Una ricerca del Cresv Bocconi, Centro di ricerche su sostenibilità e valore, realizzata nel 2011 su un campione di 124 operazioni di acquisizione con utilizzo della leva finanziaria (leveraged buyout), ha mostrato che oltre due terzi dei casi ha superato indenne la crisi, senza la necessità di rinegoziare il debito, mentre solo in due casi si è fatto ricorso a procedure concorsuali. Nel mezzo vi sono state le cosiddette ristrutturazioni finanziarie.
Queste ultime sono state 41 e va sottolineato che nell'85% dei casi i fondi hanno dovuto procedere a iniettare nuove liquidità finanziarie nel contesto di rinegoziazione, tipicamente attraverso la sottoscrizione di nuovi aumenti di capitale nelle imprese in crisi, mantenendo la propria quota. Infine, pochissime sono state le operazioni in cui i fondi hanno deciso di uscire dall'investimento, cedendo il controllo a un nuovo investitore o alle banche che hanno convertito il loro debito in capitale.Nella maggioranza dei casi, come detto, i fondi di private equity hanno avuto un ruolo attivo nella rinegoziazione dell'indebitamento dell'impresa, mettendo a disposizione nuove risorse finanziarie per un ammontare complessivo pari a circa un miliardo di euro. Tali dati suggeriscono come in casi di crisi i fondi di private equity abbiano cercato di mantenere l'investimento, fornendo capitali dove necessario per preservare la continuità aziendale della società. Ciò ha consentito alle imprese partecipate di affrontare con decisione e flessibilità la crisi, mettendo le società stesse in condizione di prepararsi alla ripresa economica con investimenti mirati.Del resto va evidenziato che la logica di valorizzazione sottostante all'investimento porta importanti benefici all'azienda, che vanno dal miglioramento dei processi aziendali alla forte spinta per le aggregazioni industriali. Da tal punto di vista la crisi ha spinto gli operatori di private equity a ritornare ai fondamentali dell'economia e a puntare ancora di più sulla creazione di valore attraverso la crescita dell'azienda e la realizzazione degli obiettivi di sviluppo industriale, piuttosto che mediante il ricorso alla leva del debito e all'arbitraggio sui multipli di mercato. Allo stesso modo in cui, dal lato delle banche, si è osservato un ritorno ai fondamentali del credito, con un ridotto utilizzo della leva del debito e una maggior selettività. In generale, gli operatori di private equity sono riusciti a superare nel modo migliore il momento difficile, soprattutto grazie alle proprie capacità, come operatori razionali, di anticipare la crisi, in particolare a livello finanziario. Questo ha consentito di evitare quei problemi di liquidità che spesso, invece, gli imprenditori hanno dovuto affrontare, in quanto meno strutturati e maggiormente emotivi. Il private equity, quindi, ha dimostrato, ancor più nei momenti difficili, di essere un modello sostenibile. In conclusione, quanto al ruolo dei fondi di private equity, oggetto di pesanti critiche rivolte in particolare allo scarso sviluppo industriale e all'eccessivo indebitamento delle aziende target, la ricerca del Cresv mostra come si sono comportati realmente gli operatori in Italia durante la crisi. Infine, le operazioni realizzate nel paese si sono caratterizzate per un livello medio di leva utilizzata inferiore rispetto al contesto europeo: nel 2010 in Italia il rapporto debito/ebitda si è attestato a quota 2,2, contro il 4,4 dell'Europa, mentre nel 2007, anno in cui si sono raggiunti i livelli più alti, il valore europeo era pari a 6,1, mentre quello italiano a 4,5.