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Federalismo fiscale e tutela della salute

, di Mariafrancesca Sicilia e Eugenio Anessi Pessina - rispettivamente, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di analisi istituzionale e management pubblico della Bocconi; ordinario di economia aziendale a Roma e research fellow del Cergas Bocconi
Non solo redistribuzione?

Con l'approvazione della legge delega sul federalismo fiscale (L. 42/09) si è aperta una nuova fase del processo di devoluzione.

Con specifico riferimento alla sanità, è bene innanzitutto ricordare che la Costituzione (art. 117) inserisce la tutela della salute tra le materie di legislazione concorrente, per le quali la potestà legislativa spetta alle regioni, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello stato. Quest'ultimo mantiene comunque la legislazione esclusiva sulla «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», quindi su quelli che in sanità sono noti come «Livelli essenziali di assistenza» (Lea). A tal fine, la Costituzione stessa (art. 119) prevede l'istituzione di «un fondo perequativo [...] per i territori con minore capacità fiscale per abitante».

Negli ultimi mesi, il dibattito si sta dunque concentrando sui criteri di finanziamento e soprattutto di perequazione interregionale. Per effetto dei criteri attuali, infatti, esiste una relativa omogeneità interregionale nella spesa sanitaria pubblica pro-capite. Tuttavia, tale omogeneità implica una forte differenziazione nel rapporto spesa/pil, con alcune regioni (Valle d'Aosta, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, ma soprattutto Lombardia) che possono destinare al proprio Ssr meno del 6% del pil regionale, mentre altre (Campania e Sicilia) superano il 10%. Inoltre, è evidente la difficoltà delle regioni di contenere la spesa all'interno delle risorse assegnate: il Ssn è sistematicamente in disavanzo (54 euro pro-capite nel 2008, 550 al lordo dei ripiani nel periodo 2001-08), anche se negli ultimi anni gli squilibri si sono ridotti. Poche aziende sanitarie pubbliche raggiungono il pareggio economico e solo recentemente alcune regioni sembrano aver trovato un equilibrio sufficientemente stabile, mentre tre regioni (Lazio, Campania, Sicilia) hanno generato da sole buona parte del disavanzo complessivo, costringendo lo stato a reintrodurre i provvedimenti di ripiano. I meccanismi allocativi, tuttavia, non rappresentano l'unico tema critico. Fondamentali sono anche le capacità di governo e di gestione del sistema sanitario regionale e delle aziende che lo compongono, in modo da garantire effettivamente i Lea ai propri cittadini, senza generare disavanzi e, quindi, senza incorrere nei meccanismi sanzionatori che la legge prefigura. Attualmente, tali capacità sono distribuite in modo molto eterogeneo sul territorio nazionale. Le regioni più deboli sul piano economico-finanziario, tra l'altro, lo sono generalmente anche in termini di servizi offerti.Il divario tra le regioni più «forti» e quelle più «deboli» va colmato non solo ridefinendo le formule allocative e disegnando opportuni sistemi di premi e sanzioni, ma anche agendo su competenze, professionalità e strumenti manageriali. Al riguardo, un elemento qualificante del federalismo è la possibilità di sperimentare «in parallelo» e «su scala locale» soluzioni diverse, ma anche di confrontarle, valutarle e, se opportuno, estenderle ad altri contesti. Il Ssn dovrà quindi rapidamente sviluppare sistemi di benchmarking interregionale, nonché politiche capaci di trasferire competenze e professionalità dai contesti più avanzati al resto del paese.