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Europei a caccia di fiducia e solidarieta'

, di Carlo Altomonte e Carlo Secchi - rispettivamente, associate professor di politica economica europea e professore a contratto senior presso la Bocconi
Eurobarometro: i cittadini ci credono e spingono verso l'integrazione. Ma servono statisti

Durante le giornate più buie della crisi finanziaria, tanto frequenti nelle ultime settimane, è legittimo chiedersi se davvero valga la pena continuare a investire nella costruzione europea, o se piuttosto un ritorno allo status quo ante, con le nostre valute nazionali e le barriere alla mobilità di beni, servizi, persone e capitali, non sia preferibile rispetto ai tanti sacrifici che ci vengono richiesti per stare nell'euro.

Se poniamo la questione in termini di fiducia, dovremmo chiederci in linea generale se riteniamo che il benessere economico nostro e delle future generazioni sia una questione che possiamo gestire da soli, nel senso che ci fidiamo della nostra capacità come paese singolo di competere con successo sullo scenario globale, drasticamente mutato negli ultimi anni con l'emergere di attori di dimensioni continentali quali i paesi Bric; o se piuttosto questa capacità non passi anche dalla messa in comune di risorse (e dunque anche della moneta) con i nostri partner europei, con cui condividere costi e benefici. Se così fosse, diventa fondamentale costruire un legame di fiducia reciproco con gli altri paesi, e su tale legame riaffermare l'idea di una rinnovata costruzione europea, più coerente con le esigenze imposte dal contesto economico e finanziario post-crisi. Questo vuol dunque dire più Europa, non meno Europa, perché dalla crisi si esce veramente solo nel momento in cui la Banca centrale europea potrà fungere, come la Federal Reserve, da vero prestatore di ultima istanza del sistema europeo; e questo a sua volta potrà accadere solo nel momento in cui accanto alla politica monetaria continentale può affiancarsi una politica fiscale e di bilancio altrettanto unificata a livello europeo, in cui gli stati si danno mutui impegni e mutue garanzie. Ciò si collega al noto tema degli Eurobond, una soluzione la cui concreta realizzazione dipende in ultima analisi proprio dal grado di fiducia reciproco tra stati membri. Da un lato i paesi storicamente virtuosi, come la Germania, che devono mettere in comune le loro risorse faticosamente guadagnate, devono potersi fidare del fatto che i paesi storicamente meno virtuosi, come l'Italia, siano soggetti a una rigida disciplina fiscale che non renda vani gli sforzi fatti. Dal canto loro, gli stati meno virtuosi, che saranno soggetti alla forte condizionalità imposta dai paesi virtuosi, devono potersi fidare del fatto che questi ultimi, in cambio del credito erogato, non impongano loro condizioni vessatorie o poco in linea con le loro esigenze di sviluppo. Sembrerebbe un'equazione impossibile da risolvere, ma i cittadini europei sono già avanti rispetto al dibattito politico. Un recente sondaggio di Eurobarometro, che monitora gli umori degli europei sulla crisi, rivela che, alla domanda sulla possibilità di condividere insieme una parte del debito pubblico degli stati membri dell'Ue, il 61% dei cittadini europei ha risposto che "sarebbe necessario nel nome della solidarietà", il 57% che "potrebbe migliorare la stabilità finanziaria del stati membri", mentre il 50% pensa che "potrebbe contribuire a ridurre il costo della crisi". Queste percentuali sono costanti nel tempo, e non sembrano risentire della contingenza della crisi. Dai cittadini sembra dunque arrivare una vera iniezione di fiducia nel processo di integrazione europea su cui i nostri leader politici dovrebbero avere il coraggio di costruire. Parafrasando De Gasperi, sarebbe auspicabile nel fare queste scelte che i cittadini europei possano fidarsi non di politici, che si preoccupano delle prossime elezioni, ma di statisti, che si occupano delle prossime generazioni.