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Energia. Combustibili fossili: la fine annunciata di un'era

, di Matteo Di Castelnuovo - SDA associate professor of practice
Gli investimenti nei settori dei combustili tradizionali stanno diminuendo, soprattutto in Europa, a vantaggio delle fonti rinnovabili. Le grandi compagnie petrolifere adeguano le proprie strategie

Leggendo i maggiori quotidiani internazionali negli ultimi dodici mesi è possibile individuare alcuni segnali che sembrano indicare come le prospettive future di investimento nei combustibili fossili, soprattutto carbone ma anche petrolio e gas, stiano cambiando e non necessariamente in meglio.
Il 27 maggio scorso il fondo sovrano più grande al mondo, quello norvegese, ha annunciato di voler uscire da tutte le società che dal carbone ricavano il 30% del fatturato o il 30% dell'energia prodotta. Si parla in questo caso di dismissioni per oltre quattro miliardi di dollari.
La settimana prima, la compagnia assicurativa AXA, che gestisce oltre un miliardo di dollari, ha comunicato di voler vendere attività nel carbone per oltre 500 milioni.
Nei mesi scorsi gli eredi della Rockfeller Standard Oil avevano adottato una simile presa di posizione mentre sia la World bank che la Banca europea degli investimenti avevano introdotto condizioni molto più vincolanti per gli investimenti nelle centrali a carbone.
Queste prese di posizione sui finanziamenti non riguardano però solo il carbone. Alcune fra le maggiori utility al mondo, quali GDFSuez e EON, hanno recentemente dichiarato di non voler più investire in centrali elettriche a gas (perlomeno in Europa), per potersi concentrare su fonti rinnovabili e altri servizi. Da alcuni mesi il quotidiano britannico Guardian ha lanciato una campagna stampa chiedendo alle due maggiori fondazioni filantropiche al mondo, cioè la Gates Foundation e Wellcome Trust, di impegnarsi a disinvestire dalle duecento maggiori società attive in combustibili fossili entro cinque anni. Tali richieste vengono sempre più fatte (e talvolta con successo come nel caso di Oxford e Stanford) dagli studenti alle proprie università.
Anche alcune di queste società sembrano aver notato che qualcosa sta cambiando. Il 31 maggio 2015, le sei maggiori compagnie petrolifere europee, tra cui ENI, BP, Total e Royal Dutch Shell, hanno formato la Oil and Gas Climate Initiative e hanno inviato una lettera congiunta alle Nazioni Unite per chiedere che sia consentito loro di aiutare i governi nazionali a progettare un piano per l'introduzione di un prezzo globale dell'anidride carbonica, allo scopo di contrastare il fenomeno dei cambiamenti climatici. Certo non tutto il mondo sembra voler seguire questi segnali. Per esempio, dall'altra parte dell'Atlantico invece le grandi major petrolifere, forti anche delle ricadute positive arrivate dalle risorse non convenzionali come lo shale gas, mantengono un atteggiamento più conservatore, avendo deciso di non aderire all'iniziativa dei concorrenti europei. Addirittura, Chevron, per esempio, ha bocciato immediatamente la loro proposta sostenendo che non avrebbe senso perché i consumatori chiedono un costo dell'energia più basso e non maggiorato dal costo dell'anidride carbonica.
Il clima del pianeta sta cambiando per ciò che sta succedendo nell'atmosfera. Tuttavia, anche un altro tipo di clima, quello finanziario, sta cambiando per le società attive nella produzione e nel consumo di combustibili fossili. Resta da vedere se il secondo tipo di cambiamento sia ancora in grado di fermare il primo.