Economisti senza frontiere
L'unità nazionale era stato un obiettivo ampiamente condiviso dalla classe colta italiana. Se prima del suo raggiungimento vi erano opinioni diverse sull'organizzazione politica del futuro stato italiano, se monarchico o repubblicano e se federale o unitario, dopo di esso, la discussione su questo aspetto perse vigore e il sentimento nazionale si volse verso l'affermazione della nazione italiana nel contesto europeo. L'ambito in cui l'Italia raggiunse rapidamente una posizione rilevante fu quello culturale. Il livello dell'alta cultura italiana crebbe notevolmente tra l'unità d'Italia e la prima guerra mondiale, ponendola al livello delle nazioni più progredite. L'Italia primeggiò in particolare negli studi economici. Vilfredo Pareto, Maffeo Pantaleoni ed Enrico Barone furono economisti di assoluto valore mondiale. Fecero progredire grandemente la teoria economica e non mancarono di intervenire frequentemente nel dibattito corrente di politica economica, ad esempio, nel confronto tra protezionismo e apertura al commercio internazionale e tra socialismo e liberismo. Non furono neppure tre giganti isolati, perché loro contemporanei furono numerosi altri economisti di rilievo, tra i quali mi limito a ricordare Giovanni Battista Antonelli, Antonio De Viti de Marco e Achille Loria.
Anche nel periodo tra le due guerre mondiali il livello degli studi economici rimase elevato in Italia, sebbene senza pervenire all'eccellenza precedente. Mi limito a ricordare Luigi Amoroso, Costantino Bresciani Turroni, Gustavo Del Vecchio, Alfonso de Pietri-Tonelli, Luigi Einaudi, Marco Fanno, Giulio La Volpe, Umberto Ricci e Piero Sraffa. Per ragioni politiche Bresciani-Turroni e Ricci andarono a insegnare in Egitto, Sraffa in Inghilterra e andò negli Stati Uniti Franco Modigliani, che sarebbe diventato un grande economista, vincitore del premio Nobel. Il fascismo esercitò notevoli pressioni sul mondo accademico, senza però riuscire a modificare radicalmente l'orientamento degli studi. Vi furono economisti fascisti e corporativisti, contrari all'economia liberale, però anche economisti fascisti nel solco dell'approccio teorico tradizionale, economisti contrari alla politica economica fascista ed economisti la cui aderenza al fascismo rispecchiava soltanto un ideale nazionalistico. Alla fine della seconda guerra mondiale, tra il 1945 e il 1948, gli economisti liberali italiani ebbero un ruolo rilevantissimo nella gestione economica dell'Italia. Epicarmo Corbino e Del Vecchio furono ministri del Tesoro, Einaudi governatore della Banca d'Italia e ministro del Bilancio, Giovanni Demaria presidente della Commissione economica per la Costituente. Il loro ruolo finì dopo il 1948 (però Bresciani Turroni fu ministro nel governo Pella). Anche se gli studi economici hanno sempre mantenuto in Italia un livello di qualità e non sono mancati economisti di riconosciuto valore (ad esempio, Paolo Sylos Labini), il loro rilievo internazionale nel secondo dopoguerra non è stato comparabile a quello raggiunto nei periodi precedenti. La situazione è mutata negli ultimi trent'anni, con l'evoluzione dell'attività accademica nel mondo, che non è più suddivisa in sistemi nazionali, ma è sempre più integrata internazionalmente. Economisti italiani hanno frequentato le principali università mondiali e sono entrati a far parte del corpo accademico di molte università americane ed europee, con una presenza spesso di tutto rilievo, effetto non solo delle difficoltà del sistema universitario italiano ma anche di una preparazione di fondo che deriva da una tradizione prestigiosa. Avrà però poco senso nel futuro distinguere gli economisti italiani dai non italiani. La globalizzazione culturale non sopporta distinzioni nazionali.