E scoppierà la bolla dei target price
Pilastro della teoria finanziaria è l'informazione: i mercati risultano tanto più efficienti quanto maggiore e meglio distribuita è quella relativa agli strumenti oggetto di scambio. Gli operatori dei mercati per decenni hanno compiuto investimenti straordinari per produrre e rendere disponibili più informazioni, idealmente consentendo agli investitori di prendere decisioni con maggiore consapevolezza e con un più preciso livello di comprensione del grado di rischio e del relativo rendimento atteso.
La crisi dei mercati globali nella primavera 2000, seguente l'esplosione della bolla Internet, ha tuttavia contribuito a mostrare alcuni limiti di tale approccio: quando l'informazione fluisce liberamente nel mercato ma esistono significativi e non controllati rischi sulla qualità della stessa, un'apparente maggiore informazione può in realtà distorcere il processo di stima del rischio e le scelte di allocazione degli investitori. In tale solco è da leggere l'azione compiuta dai legislatori americani che, attraverso indagini sul comportamento degli intermediari e la successiva emanazione del Sox Act, hanno affrontato il problema del conflitto di interessi degli analisti finanziari, imponendo regole rigide sul rilascio di informazioni nella forma delle analyst recommendation.
A sette anni di distanza, l'intervento ha ottenuto effetti importanti: alcune banche hanno chiuso le divisioni ricerca e le raccomandazioni (i giudizi 'Buy' o 'Sell' che sintetizzano la valutazione dell'analista) sono diventate più conservative con l'eliminazione quasi totale delle categorie più estreme come 'Strong Buy' e 'Strong Sell'.
E' tuttavia sorprendente che fino a tre anni fa né le autorità di vigilanza, né la ricerca accademica si siano interrogati su un ulteriore elemento informativo veicolato dalle ricerche degli analisti: il target price (tp). I tp rappresentano il prezzo atteso dall'analista in un orizzonte temporale generalmente pari a un anno. A differenza delle raccomandazioni qualitative, il tp incorpora un segnale molto potente, ovvero l'aspettativa monetaria di crescita del prezzo di un titolo. Tale potenziale di influenza del mercato è amplificato dal processo di diffusione delle ricerche sui mercati: se le ricerche complete sono difficilmente accessibili e costose, semplici newsletter finanziarie o siti di pubblica informazione come Yahoo Finance diffondono quotidianamente ai propri utenti decine di tp appena rilasciati.
E' quindi naturale chiedersi se i tp siano effettivamente dei buoni stimatori del futuro prezzo di un titolo. Alcuni studi recenti hanno sorprendentemente mostrato come questa informazione sia sistematicamente sovrastimata e con errori di previsione medi superiori al 30%. Inoltre, è emerso come tali errori siano tanto più ampi quanto maggiore è l'aspettativa di crescita del prezzo incorporata nel tp. Questa evidenza appare molto rilevante poiché è ragionevole pensare che siano proprio gli investitori meno esperti, essendo i principali fruitori dell'informazione, a subire i rischi e i costi di questi errori di stima.
Se non è ancora possibile identificare le determinanti di tali errori, è però opportuno collocare tali evidenze all'interno di un quadro di efficienza informativa: sappiamo che tale informazione è distorta, ma sappiamo anche che gli analisti e le banche per le quali questi lavorano, sono percepiti come soggetti in grado di fornire analisi accurate, analisi che di conseguenza vengono considerate credibili dagli investitori. Esattamente come successo per le raccomandazioni durante la bolla Internet. E' allora il caso di chiedersi se informazioni distorte aumentino davvero l'efficienza del mercato o se determinino un trasferimento del rischio sulle spalle di investitori meno informati.
In tal caso, il lavoro delle autorità di vigilanza potrebbe non essere finito poiché risulterebbe necessario proteggere gli investitori da tali rischi. Talvolta, forse, less is better e meno informazione potrebbe generare, paradossalmente, mercati più efficienti.