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Dove nasce il modello costituzionale

, di Annamaria Monti - professore associato presso il Dipartimento di studi giuridici
Parlamento ed equilibrio tra i poteri: tutto ha origine 800 anni fa quando lo sconfitto Giovanni Senza Terra viene a patti con i suoi baroni e promulga la Magna Carta

Che tutto sia iniziato nelle Fiandre meridionali, quella domenica famosa del luglio 1214? E per una questione fiscale, pur di grande peso? Certo, Giovanni Senza Terra (il fratello minore di Riccardo Cuor di Leone) a Bouvines era stato sconfitto. I baroni, da parte loro, avevano subito una gravosissima tassazione per finanziare la battaglia del loro sovrano contro il re di Francia (di cui Giovanni, re d'Inghilterra, era a sua volta vassallo). Nell'estate del 1214, la situazione pareva gravemente compromessa per gli inglesi. Eppure, all'esito di quella memorabile giornata di cui narra Georges Duby (La domenica di Bouvines, Einaudi), che avrebbe segnato il destino degli assetti politici europei nei secoli successivi – in un complesso gioco di alleanze dinastiche a connotazione feudale – si gettarono le basi non solo per la definizione dei rapporti di forza tra i potenti, ma anche per nuove relazioni tra il sovrano, i suoi magnati e i sudditi. L'anno successivo, infatti, nel giugno del 1215, sempre Giovanni, adesso davvero Senza Terra per aver perduto i domini inglesi sul suolo francese, scende a patti con i suoi baroni, già ampiamente vessati dal punto di vista fiscale e perciò in cerca di riscatto: il re mette per iscritto l'intero complesso dei diritti che per tradizione vigevano in Inghilterra.
Si definiscono i diritti spettanti alla Chiesa e al clero, ai vassalli del sovrano, a tutti gli uomini liberi, alla città di Londra, ai mercanti. Inoltre, si fissa un meccanismo di difesa nei confronti del potere centrale: ogni volta che il re avesse voluto introdurre sussidi straordinari (ergo una nuova tassazione per ragioni eccezionali di difesa comune, secondo la consuetudine feudale), avrebbe avuto bisogno del consenso della grande assemblea del regno. Prendono forma così, tra novità e tradizione, forti di un impegno reciproco tra re e baroni al rispetto di quanto in essi definito, i capitoli di quella Carta libertatum che, presto, per i suoi contenuti, fu detta grande, quindi magna e ove il termine libertas è da intendersi come sinonimo di ius, diritto.
E se nelle 63 statuizioni originali della Magna Carta (subito abolita nell'agosto del 1215 e poi di nuovo promulgata) si leggono le radici del modello costituzionale inglese, quelle norme ci riconducono, invero, al costituzionalismo delle origini, quando il potere sovrano non rappresentava nella sua interezza la comunità politica cui la costituzione si riferiva, né il principio di uguaglianza era posto alla base della garanzia dei diritti individuali. La Magna Carta, in questo senso, è espressione di una costituzione capace di tenere in equilibrio, secondo norme consuetudinarie contrattate con il sovrano, un insieme di forze diversissime – di origine feudale e corporativa, economiche e dei mestieri – con riferimento allo spazio politico e territoriale inglese, statuendo delle regole per governare l'intreccio, proprio di quel mondo, tra ordinamenti particolari e ordinamento unitario del re.
Da quel momento in poi, però, una norma innovativa doveva prevalere sulle antiche: il sovrano non poteva più operare senza limiti, se la sua azione interferiva con la conservazione dei diritti particolari. L'azione regia doveva essere approvata da chi poteva esserne leso e il luogo della partecipazione all'esercizio del potere doveva diventare la magna curia (la grande assemblea, il Parlamento), sede tradizionale della amministrazione della giustizia.