Contatti

Dove il dipendente e' davvero capitale umano

, di Silvia Bagdadli - professore di organizzazione aziendale
Anche in Italia si osservano dei progressi, soprattutto nelle realtà medio-grandi a proiezione internazionale

Bisogna gestire il personale in maniera strategica; le risorse umane sono il nostro asset più importante. Non v'è nulla di più retorico di queste frasi che echeggiano nelle parole dei responsabili di molte imprese. La pratica però non sempre collima con questi motti. Circa 15 anni fa, un acuto giornalista americano, Thomas Stewart, si era divertito a raccogliere i discorsi natalizi dei ceo di grandi multinazionali americane, che più o meno unanimemente lodavano i dipendenti come "unica e inimitabile forza su cui era fondato il successo aziendale", salvo poi annunciare licenziamenti massicci al far del nuovo anno.

Da quando il tema della gestione strategica delle risorse umane si è affacciato sulla scena accademica, la teoria e la ricerca hanno fatto molta più strada della realtà, almeno di quella italiana, che si presenta variegata in virtù dell'esistenza di un'alta percentuale di micro, piccole e medie imprese dove la gestione delle risorse umane è di fatto inesistente, se non nei suoi aspetti legali e amministrativi. Ma cos'è la gestione strategica del personale? E le risorse umane sono davvero un asset così importante? Alla metà degli anni Ottanta il modello di analisi strategica dominante, quello di Michael Porter, è messo in discussione nella sua capacità predittiva dalla teoria strategica Resource based view, ovvero da una visione dell'impresa basata sulle risorse interne (fra queste, le risorse umane). È in questi anni che il pensiero accademico coglie l'importanza di una corretta gestione delle persone per la creazione del vantaggio competitivo. Si cercano e si trovano conferme empiriche all'idea che le aziende che gestiscono il personale con sistemi coerenti fra loro e coerenti con le caratteristiche del proprio business otterranno migliori risultati economici. È a questo tipo di studi che si etichetta come gestione strategica delle risorse umane (Shrm). Oggi si cerca di comprendere in maniera più fine la relazione fra sistemi di gestione del personale e performance aziendale, indagando le variabili intermedie che potrebbero meglio spiegare tale relazione, come il clima organizzativo o le capabilities aziendali. Chi scrive, con i colleghi Paolino (Bocconi), Hayton (Bocconi e NewCastle University, Uk) e Roberson (Villanova University, Usa), sta svolgendo diverse ricerche in linea con questi sviluppi su campioni di aziende italiane, che mostrano interessanti risultati anche nel nostro paese. Se è vero che l'Italia non è particolarmente sviluppata sotto il profilo della gestione delle risorse umane, almeno nell'accezione strategica, non mancano tuttavia casi di eccellenza. Spesso aziende medio-grandi e internazionali, dove i responsabili Hr sono parte integrante della pianificazione strategica; o aziende dove l'attenzione alle risorse umane è un valore cardine alla base della generazione del profitto. È il caso di Luxottica, che è diventata una delle più grandi multinazionale del settore basando il proprio vantaggio competitivo sulla vicinanza al tessuto industriale locale e su una gestione innovativa con il sindacato volta a migliorare la produttività e la competitività delle fabbriche localizzate in Italia.Tutto ciò, peraltro, non è valido solo nel settore privato. Nelle ricerche con Paolino e Hayton, il settore indagato è il settore museale italiano: i dati mostrano che nelle aziende dove si investe nella relazione con il personale, i risultati raggiunti sono migliori. E nella pubblica amministrazione? Nel recente dibattito se fannulloni si nasca o si diventi è chiaro che la totale assenza di meccanismi di riconoscimento del merito sia stata una delle principali cause della mancanza di motivazione e produttività del personale pubblico. Guardando poi all'ambito accademico, in una ricerca con il collega Luca Solari (Università Statale di Milano) si evidenzia come le ondate passate di riforma dei concorsi non abbiano per nulla ovviato al problema della produttività scientifica dei docenti italiani, ma come siano il cambiamento degli incentivi sulle risorse (inclusi in parte dalla riforma Gelmini) e dei meccanismi di carriera di ricercatori e professori che potranno modificare i comportamenti del corpo accademico. Bisogna mettere in moto la competizione fra università e fra ricercatori per stimolare la produttività scientifica, che ovviamente andrebbe poi ricompensata. Concludendo, teorie ed evidenze mostrano che gestire bene il capitale umano ha valenza strategica. Vi sono oggi aziende che lo hanno compreso e nuove leggi che cercano di smuovere il sistema pubblico in questa direzione. Speriamo che siano segnali di un rinnovamento più diffuso e profondo.