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Dalla crisi si esce anche grazie all’impresa sociale

, di Andrea Celauro
Il Terzo Settore ha risentito meno degli scossoni che hanno colpito il mercato globale e può rappresentare un modo per ritrovare un equilibrio. Non solo economico

L'annus horribilis 2008, che ha fatto diverse illustri vittime sul mercato globale, non lascia ben sperare per il 2009. Tuttavia, un'opportunità in controtendenza rispetto ai cattivi auspici è data dal Terzo Settore: il non profit, o meglio le imprese sociali, possono infatti diventare "il canale per convogliare risorse per la crescita infrastrutturale del paese". Lo ha sottolineato il rettore Guido Tabellini, durante la firma di una convezione quadro che ha legato l'Università all'Agenzia per le Onlus e che ha dato vita a una collaborazione improntata sulla ricerca e sulla didattica. L'accordo è stato siglato venerdì nel corso della consegna del diplomi del Master in management delle imprese sociali, aziende nonprofit e cooperative della Sda Bocconi.

"Nella maggior parte dei casi le imprese del Terzo Settore, se si escludono le fondazioni bancarie, sono state meno colpite dalla crisi", ha continuato Tabellini, "inoltre, le imprese sociali sono quelle che hanno maggiori contatti con i paesi emergenti, nei quali in futuro si registrerà un sempre maggiore sviluppo, e possono indurre l'allocazione di talenti verso settori con un valore sociale più alto". Per rispondere alla crisi, ha rimarcato il direttore scientifico del Master Np&Coop, Giorgio Fiorentini, "oltre agli ammortizzatori sociali tradizionali, può essere utile promuovere e sviluppare l'impresa sociale, perché questa ha costi inferiori rispetto all'impresa for profit e quindi può produrre e vendere beni e servizi a prezzi più bassi. I costi generali e fissi sono contenuti e il break even si realizza con quantità di produzione inferiore rispetto al profit". Inoltre, l'impresa sociale non ha scopo di lucro e può gestire eventuali utili reinvestendoli nell'impresa stessa, "però si potrebbe ipotizzare la creazione di imprese sociali spa o srl, che non danno dividendi per alcuni anni, ma che dopo aver incrementato il patrimonio col reinvestimento degli utili, possono trovare sbocchi di vendita per gli asset azionari".

Il nostro non profit è peculiare quindi per la sua stessa essenza, rispetto a quello di matrice redistributiva di stampo anglosassone. Stefano Zamagni, presidente dell'Agenzia per le Onlus: "In America vige un non profit in due tempi, basato sul principio del massimizzare i profitti prima, per poi redistribuirli dopo. Una logica che il nostro modo di fare non profit, che ha origini nella Toscana del XV secolo, non ha fatto propria". Il tessuto 'produttivo' del Terzo Settore italiano, spiega Zamagni, "comporta perciò che la formazione debba insegnare ai giovani a far funzionare le imprese, non solo a raccogliere denaro con il fund raising o a spenderlo bene".