Dai piccoli produttori poveri alla nostra tavola
Sono diversi gli aspetti che rendono il commercio equo e solidale un fenomeno molto interessante dal punto di vista economico. Si tratta di una forma innovativa di cooperazione che rende compatibili solidarietà e sviluppo sostenibile. In estrema sintesi, beni prodotti nei paesi poveri da produttori altrimenti deboli e potenzialmente non competitivi vengono intermediati da organizzazioni no-profit che li offrono ai consumatori dei paesi ricchi con la garanzia che buona parte del valore venga destinato ai produttori e serva a garantire il miglioramento delle loro condizioni di vita.
Una prima serie di aspetti meritevoli di attenzione riguarda il lato dell'offerta. I produttori sono selezionati sulla base di criteri molto restrittivi. Non basta operare in un paese povero. Occorre essere organizzati in forma cooperativa. Dividere in modo equo i profitti. Reinvestirli in istruzione e in iniziative di inclusione sociale. Adottare metodi di produzione sostenibili dal punto di vista ambientale.Gli obiettivi del commercio equo e solidale non si esauriscono con l'aumento della quota di valore aggiunto che viene destinata a chi produce. Oltre il trasferimento di un maggiore valore monetario, vi è l'idea che l'organizzazione e lo stile di vita delle piccole comunità di produttori poveri vengano difesi dall'azione corrosiva del mercato. Il mercato non viene rifiutato a priori, anzi è funzionale allo scambio che coinvolge nei paesi ricchi consumatori sensibili e fortemente interessati a come il processo viene gestito. Un secondo insieme di aspetti riguarda infatti la credibilità delle organizzazioni di commercio equo, le quali devono garantire la bontà dei loro criteri e la serietà della applicazione. Questi criteri sono la soluzione di un difficile tradeoff fra allargare le condizioni per consentire l'accesso ai canali del commercio equo a un maggiore numero di produttori, e restringerle per evitare di inquinare l'azione di sostegno a chi è davvero povero. Spesso le organizzazioni di commercio equo ricorrono in forma massiccia al volontariato, che non serve solo a ridurre i costi, ma a segnalare quanto siano importanti le motivazioni ideali di chi vi lavora. È facile capire quanto per queste organizzazioni siano importanti l'indipendenza e la trasparenza.Un terzo insieme di aspetti riguarda il lato della domanda, il profilo di chi compra questi prodotti. Si tratta di consumatori molto attenti al tema della cooperazione, della povertà e dell'ambiente. La loro disponibilità a pagare un prezzo più alto per un prodotto che abbia un contenuto 'etico' è in generale molto forte. L'eticità del prodotto è tuttavia una caratteristica difficilmente osservabile. Il consumatore deve pertanto potersi fidare di chi offre questi tipi di prodotti. Il saper conquistare e mantenere la fiducia del consumatore etico è la sfida fondamentale per le organizzazioni di commercio equo. La mancanza di fiducia provocherebbe l'allontanamento del consumatore, anche negli acquisti di scarso valore.Un altro aspetto rilevante è la sua scarsa propensione a separare il momento dell'acquisto del prodotto da quello della donazione. Cioè la decisione egoistica da quella altruistica. Il consumatore non è tanto interessato alla donazione fine a se stessa, quanto ad assicurare lavoro e sviluppo ai produttori poveri.La semplice donazione non assolverebbe questo compito come neanche il semplice acquisto di un bene prodotto da una multinazionale in un paese povero.L'obiettivo è raggiungere un produttore povero, piccolo e debole e fare in modo che il mercato non cambi in peggio la sua vita, ma anzi la migliori.Il mercato, quello competitivo non servirebbe; il mercato, quello etico, sì.In Italia lo sviluppo del commercio equo negli ultimi dieci anni è stato impressionante. I numeri sono ancora piccoli, ma i tassi di crescita sono molto alti.Un battuta di arresto si è registrata nel 2009, a dimostrazione del fatto che la crisi erode pesantemente la nostra capacità di aiutare chi sta peggio. La solidarietà è purtroppo ancora un lusso al quale spesso decidiamo di rinunciare.