Via da Dublino con un’Europa a più velocità
La notizia del no irlandese al Trattato di Lisbona ha raggiunto nel pieno dei lavori i 145 studiosi europei e americani radunati alla Bocconi per il 4Tad, Fourth Transatlantic Dialogue (12-14 giugno), il più importante momento di incontro tra esperti di pubbliche amministrazioni al di qua e al di là dell'Oceano. E ha subito agitato le acque, diventando, se non il tema centrale, certo un punto di riferimento dal quale era difficile prescindere.
"Già prima della notizia", riferisce Edoardo Ongaro, docente del Dipartimento di analisi istituzionale e management pubblico della Bocconi e co-chair della conference, "si era dibattuto del doppio deficit che affligge l'Unione europea, quello democratico e quello di management".
La domanda ricorrente, anche tra gli studiosi, è se abbia senso proseguire nel processo di allargamento, se non si riescono a coinvolgere, se non marginalmente, i popoli europei. E la risposta non è per nulla implicita, perché se esiste la tentazione di prendersi una pausa, è però vero che, in molte situazioni, è più produttivo realizzare qualcosa, per farne vedere ai cittadini i benefici e coinvolgerli, così, ex-post. "Un problema rilevato da più parti", spiega ancora Ongaro, "è l'impossibilità di avere controprove di qualsiasi affermazione si faccia rispetto al processo di integrazione. Molti si lamentano, per esempio, dell'euro per via dell'inflazione che avrebbe stimolato, ma non ci si può fermare, tornando alla lira per qualche anno e verificare che l'inflazione sarebbe più alta, la moneta debole e così via".
Le possibili soluzioni sono, allora, due: fermarsi per far maturare il dibattito e fare opera di informazione presso l'opinione pubblica, o lasciare che alcuni paesi procedano più velocemente nel processo di integrazione, presentandosi così come campioni di ciò che è possibile realizzare. "A mio parere", osserva Ongaro, "la seconda soluzione sarebbe la più efficace".
Gli studiosi parlano, in secondo luogo, di deficit di management: l'Unione si è accollata sempre maggiori competenze, senza far crescere parallelamente una struttura capace di realizzare le proprie ambizioni. "Il personale della Commissione europea è numericamente paragonabile a quello del Comune di Milano", dice ancora Ongaro, "e, a fronte di tre milioni di dipendenti pubblici in Italia, gli organi dell'Unione europea ne totalizzano, nel complesso, 30.000. Il peso della burocrazia europea è ampiamente sovrastimato".
Il doppio deficit si concretizza in un circolo vizioso, per cui le politiche vengono implementate solo parzialmente e il cittadino risulta, così, insoddisfatto. "Si creano aspettative rilevanti", conclude Ongaro, "che non si riesce poi a concretizzare".
I tre giorni di conference sono stati l'occasione per mettere a confronto le impostazioni di studio europea e americana. La struttura dell'incontro, che prevedeva un chair europeo e uno americano, sei workshop presieduti da un europeo e un americano, paper provenienti da entrambi i continenti e una sessione finale in cui sono stati presentati i risultati di tutti gli workshop, si è dimostrata particolarmente efficace.