Crisi online. Non facciamone un dramma!
United Airlines non avrebbe mai pensato che la notizia di un suo disservizio al cliente avrebbe raggiunto più di 15 milioni di persone attraverso Youtube. Più recentemente, in Italia, Moncler è stata coinvolta in una accesa discussione online, dopo che una trasmissione televisiva ne ha denunciato comportamenti non etici a scapito di animali e decisioni poco responsabili di delocalizzazione selvaggia della produzione.
Ma come si risponde a una crisi che coinvolge clienti o altri consumatori arrabbiati sui social network? Da che cosa si capisce se vale la pena avere un ruolo attivo in questa discussione?
Se vi propongono di risolvere tutto con una bella analisi delle conversazioni e dei sentimenti online, pensateci 10 volte prima di affidarvi a questi consiglieri.
La reputazione di un'azienda è fatta di stima, ammirazione, fiducia e sentimenti positivi da parte dei cosiddetti stakeholder strategici (i clienti, i dipendenti, la public opinion più generale, ma anche i policy maker). Le conversazioni nei social media, nella maggior parte dei casi, non rappresentano questa complessità. Potreste prendere lucciole per lanterne affidandovi solo a queste fonti.
➜ pregi e difetti della social intelligence
Nel 2010 Toyota arrivò a dover richiamare quasi 10 milioni di vetture nel mondo. Per diversi mesi assunse un atteggiamento molto difensivo, negando responsabilità sugli incidenti riportati. Non capì che ciò che stava costruendo reputazione negativa e crisi in quel frangente non erano i commenti dei propri clienti (peraltro spesso positivi e pieni di fiducia verso l'azienda), ma la pubblica opinione americana (e i suoi rappresentanti al congresso) che, in tempi di crisi economica, assumeva connotati protezionistici e persino un po' razzisti contro ogni produttore straniero.
Durante la cosiddetta crisi Moncler, i social media registrarono un significativo flusso di commenti negativi contro l'azienda, con inviti a non acquistare più i suoi prodotti. Nei giorni successivi il titolo in borsa scontò una perdita consistente. L'azienda rispose, anche se non immediatamente, negando i comportamenti non etici, senza peraltro farsi coinvolgere direttamente nella discussione sui social. Alcuni commentatori si affrettarono a prevedere un impatto negativo di questi eventi sulla reputazione dell'azienda e di conseguenza sul suo business. Alcune settimane dopo erano invece rintracciabili in rete analisi con esplicito apprezzamento di questa strategia di risposta, giustificata dal fatto che dai social media erano nel frattempo spariti i commenti negativi al caso. A dimostrazione di questa efficacia veniva in alcuni casi portato il dato relativo all'ottima ripresa in borsa del titolo, trainata da una crescita sostanziosa del fatturato. Chi aveva ragione? Non si può rispondere senza conoscere i dati di andamento della reputazione (non di social intelligence) di Moncler nei pubblici rilevanti nel medio termine, a partire dall' identificazione (anche geografica) di questi stakeholder. I media finanziari, infatti, spiegano il buon andamento del fatturato più recente (e conseguente buon andamento del titolo in borsa) con le buone performance commerciali dell'azienda sui mercati asiatici. Se chi si è affrettato a prevedere un destino sofferente per il business di Moncler come conseguenza della tempesta sui social media italiani avesse identificato correttamente i processi di influenza tra le diverse opinioni pubbliche (nei diversi paesi) e i risultati di business, avrebbe probabilmente evitato quelle previsioni. Chi, del resto, utilizza i risultati positivi di breve termine, trainati da mercati diversi da quello dove è scoppiata la crisi, per prevedere un impatto nullo di questa comunicazione, non tiene magari in dovuto conto il peso che quella vicenda potrebbe avere sul mercato italiano nel medio termine.
In sintesi, non cerchiamo di semplificare ciò che semplice non è. La social intelligence ha tanti pregi, ma non quello di sostituire un solido framework di crisis and reputation management.