Consumati dal lavoro. Tutelati dal diritto
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Dal punto di vista del diritto previdenziale, i lavori usuranti sono quelle attività che per la loro particolare pesantezza danno diritto di accesso al trattamento pensionistico in via anticipata rispetto ai requisiti contributivi ordinari. Il legislatore valorizza quindi la particolare onerosità dei lavori definiti usuranti e prevede delle eccezioni alla normale disciplina previdenziale per alcune attività raccolte in un elenco dettagliato che comprende, ad esempio, i lavori svolti in galleria, in miniera, ad alte temperature, il lavoro dei palombari, i lavoratori adibiti a particolari catene di montaggio o addetti all'asportazione dell'amianto.
Ovviamente, la precisa elencazione delle attività lavorative che consentono l'accesso al beneficio del pensionamento anticipato presta il fianco alla critica di escludere dal beneficio stesso tutti quei lavori che – pur particolarmente faticosi – non sono ricompresi nella lista. Questo è un rischio comune a ogni elencazione legislativa, al quale si potrà eventualmente rimediare ampliando l'elenco stesso, inserendovi ulteriori attività che meritino di esser definite usuranti, magari anche sulla base di nuove scoperte o studi di medicina o sociologia del lavoro inediti al momento della formulazione originaria della norma.
Ferme restando queste criticità, la scelta del legislatore sembra essere quella che meglio bilancia l'esigenza di sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale nel suo complesso e la necessità di venire incontro ai bisogni particolari delle persone alle quali, per l'indubbia onerosità del lavoro eseguito, non può esser richiesto di soddisfare gli ordinari requisiti contributivi, pensati per la massa dei lavoratori che svolgono attività mediamente meno faticose.
L'accesso al pensionamento anticipato non va nemmeno visto come un trattamento di favore per il solo lavoratore; le imprese che operano nel campo delle attività usuranti, infatti, beneficiano – grazie alla disciplina in questione – di un ricambio generazionale più veloce della propria forza lavoro: diversamente, questi soggetti economici rischierebbero di trovarsi di fronte all'alternativa tra sopportare decrementi di produttività crescenti, legati al logoramento progressivo delle capacità lavorative della manodopera, e licenziare i lavoratori divenuti col passar del tempo improduttivi.
Si tratta di circostanze che investono la generalità dei datori di lavoro e che le recenti riforme previdenziali, con l'innalzamento dell'età pensionabile, verosimilmente acuiranno: nel futuro ci troveremo quasi inevitabilmente di fronte a porzioni sempre più vaste di popolazione lavorativa espulsa dal posto di lavoro per favorire il ricambio intergenerazionale e aumentare la produttività delle aziende ma che ancora non soddisfa i requisiti per accedere alla pensione: il caso degli esodati ha reso mediaticamente evidente questo delicato problema.
Difficilmente, tuttavia, la soluzione potrà ancora essere allargare i cordoni della borsa, ricorrendo a prepensionamenti o ampliando le deroghe alla disciplina pensionistica ordinaria: il trattamento di favore per il lavoro usurante è destinato probabilmente a rimanere una eccezione, per non compromettere l'equilibrio finanziario dei conti pensionistici. Più auspicabilmente si tratterà, invece, di promuovere – con il coinvolgimento indispensabile delle parti sociali – una cultura imprenditoriale che valorizzi le porzioni più "anziane" della forza lavoro permettendo una ricollocazione dei lavoratori interessati in attività differenti, al fine di evitare una estromissione prematura dal mercato del lavoro che sarebbe non solo economicamente insostenibile ma anche complessivamente inefficiente, perché comporterebbe la dispersione dell'esperienza operativa accumulata nel corso di intere carriere lavorative.