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Come uscire dalla trappola della liquidita'

, di Tommaso Monacelli - professore ordinario di economia
Spuntate le armi convenzionali, le banche centrali si affidano a quelle non convenzionali. Fed in testa

La Banca centrale immette moneta nel sistema con l'acquisto di titoli, i quali, a differenza della moneta, pagano un tasso di interesse. Ma quando i tassi di interesse nominali sono a zero (come oggi in Usa e praticamente in Europa) tale differenza si annulla: comprare titoli per 100 euro equivale a comprare 100 monete da 1 euro con una banconota da 100 euro. Un'operazione irrilevante.

Tommaso Monacelli

Perché i tassi di interesse sono a zero? Ed è proprio vero che in questo caso la politica monetaria è inefficace? Quando le prospettive di crescita di un'economia sono buone, è un buon momento per prendere a prestito (con reddito crescente sarà facile ripagare in futuro): l'eccesso di domanda di debito spinge quindi in alto i tassi di interesse. In una fase di recessione è il contrario: può essere così forte la volontà di risparmiare (ridurre l'indebitamento), che il tasso di interesse corretto (di equilibrio), in termini reali, dovrebbe essere addirittura negativo. In tal caso può non essere sufficiente che la Banca centrale abbassi il tasso nominale a zero. Poiché sotto zero il tasso nominale non può scendere, l'economia scivola in una trappola. È la cosiddetta trappola della liquidità, che fa pensare che la politica monetaria abbia esaurito le proprie armi per stimolare la ripresa economica. In realtà, potrebbero esservi molteplici strumenti a disposizione delle Banche centrali, strumenti non convenzionali raggruppati sotto il nome di forward guidance. Se lo strumento corrente (il tasso nominale a breve) non può essere cambiato (non si può scendere sotto zero), si può sempre assumere un impegno credibile riguardo a ciò che si farà con lo stesso strumento in futuro. Ad esempio, annunciare oggi che i tassi di interesse saranno mantenuti a zero anche quando, domani, l'economia avrà dato segni permanenti di ripresa. L'obiettivo è chiaro: ottenere oggi un aumento delle aspettative di inflazione e quindi abbassare i tassi reali anche se quelli nominali sono a zero. La Fed americana conduce la propria politica monetaria con una strategia vicina a quella che la teoria economica più rigorosa prescriverebbe. L'impegno assunto dalla Fed a mantenere i tassi a zero fino a una scadenza temporale prestabilita (fine 2013) è un esempio di forward guidance. Tuttavia, c'è chi ritiene che la lentezza della ripresa negli Usa sia una prova del successo solo parziale della politica scientifica. Altri, all'opposto, ritengono che la strategia di forward guidance sia stata applicata in modo non abbastanza scientifico. Per avere un vero impatto sulle aspettative di inflazione la Fed avrebbe dovuto essere molto più precisa: impegnarsi a tenere i tassi a zero anche quando il tasso di crescita economica fosse tornato soddisfacente e non prendere un impegno puramente temporale (fine 2013) e troppo vago.

Mai come in questo momento, Fed e Bce sembrano seguire modelli completamente diversi. La Bce, da sempre, osteggia la forward guidance, ritenendola forse un vincolo troppo rigido. Ma non riesce a comunicare né ai mercati né alla comunità scientifica il proprio modello alternativo, che rimane incomprensibile. Forse è la teoria economica a essere errata. Ma quando il comportamento di una istituzione così importante devia in modo così esplicito dalla teoria, i casi sono due: o c'è nuovo materiale di ricerca, oppure nervosismo e incertezza dilagano nei mercati. Da sempre la politica monetaria è il risultato di un mix di arte e scienza e sarebbe quindi ingenuo riporre una fiducia cieca nelle prescrizioni della teoria. Da alcuni anni, però, il pendolo ha virato nella direzione della scienza per molte banche centrali del mondo. Tranne che per la Bce.