Come rendere sostenibile la rivoluzione verde che nutre, ma mangia le risorse
L'agricoltura occupa il 36% della forza lavoro mondiale (2006) e contribuisce meno del 5% del pil nelle economie avanzate (Usa ed Europa), a circa il 7% nelle realtà emergenti (Cina e India) e a oltre il 32% nelle economie più povere come l'Africa sub-sahariana. Ha una rilevanza fondamentale a livello sociale: si stima che oltre l'85% della popolazione che vive in aree rurali operi nel comparto agricolo e che circa 3 miliardi di persone che vivono nei paesi in via di sviluppo, potendo contare su meno di 2 dollari al giorno di reddito, dipendono per il proprio sostentamento da ciò che coltivano.
La relazione tra attività agricole ed ecosistemi costituisce tuttavia un tema critico, che necessita soluzioni innovative e immediate. Per oltre 50 anni, la "green revolution", grazie a pratiche di coltivazione intensiva e al ricorso a fertilizzanti e pesticidi, ha favorito incredibili aumenti di produttività, rispondendo così alle sempre più ingenti richieste di cibo. Al contempo, però, l'agricoltura è diventata un fattore di pressione sugli ecosistemi molto rilevante e non più sostenibile. Alcuni dati. Il settore agricolo impiega il 70% dell'acqua prelevata da bacini idrici superficiali (fiumi e laghi), cifra che supera l'80% nelle economie in via di sviluppo (si pensi che ogni giorno per soddisfare il fabbisogno alimentare di ognuno di noi vengono utilizzati oltre 3.000 litri di acqua). Negli ultimi 40 anni la superficie agricola è aumentata del 10% come effetto di una popolazione globale in crescita e di una dieta sempre più ricca di calorie e di proteine animali. Ogni anno vengono abbattuti circa 13 milioni di ettari di foresta, un'area equivalente a oltre un terzo dell'Italia. Di questi, più dell'85% nei paesi tropicali (dati Fao e World Bank), ossia in contesti altamente sensibili dal punto di vista ambientale. Il 96% della deforestazione è causato dall'espansione delle superfici agricole. Ancora, la degradazione del suolo causata da pratiche agricole intensive è sensibilmente aumentata negli ultimi anni e ha determinato una forte perdita della produttività naturale dei terreni. Infine, circa il 14% delle emissioni di gas serra deriva dalle attività agricole. Per effetto del cambio climatico la desertificazione ogni anno 'mangia' oltre 12 milioni di ettari di terreno agricolo. Al contempo però, se correttamente organizzata, l'agricoltura può orientare il percorso della nostra specie verso un modello di società in equilibrio con il pianeta. Dalla conferenza di Rio del 1992, l'agenda politica internazionale ha legato costantemente agricoltura e sviluppo sostenibile, cercando di favorire la diffusione di tecniche agronomiche più compatibili e di rafforzarne il ruolo nella produzione di eco-servizi. Gli ecosistemi agricoli, infatti, sono importantissimi per mantenere la biodiversità, ma possono anche diventare 'pozzi' per catturare i gas serra oppure svolgere funzioni di purificazione e di conservazione dell'acqua e di protezione del suolo. Sul fronte della gestione più efficiente delle risorse naturali sono state condotte diverse esperienze di successo grazie al coinvolgimento delle comunità locali e alla loro responsabilizzazione nei processi gestionali (ad esempio, nella conservazione delle acque). Un'altra opportunità deriva dalla diffusione di meccanismi di pagamento per gli eco-servizi. I bacini idrici, le foreste, ma anche tecniche di coltivazione che preservano i terreni dalla degradazione mantenendone la funzionalità di 'carbon-sequestrator', generano servizi ecologici fondamentali che potrebbero essere protetti attraverso forme di compensazione economica a vantaggio delle popolazioni rurali. È il caso del carbon trading scheme e dei certificati di emissione volontaria, che possono generare risorse per avviare pratiche di riforestazione o evitare la deforestazione. È anche il caso di forme di certificazione che consentono ai consumatori di pagare per prodotti provenienti da un'agricoltura più sostenibile o che favoriscono una più equa distribuzione del valore aggiunto lungo le supply-chain. Va segnalato, in conclusione, che numerose imprese internazionali (Unilever, Illy, Nestlé, Chiquita, Coop) stanno introducendo queste pratiche spinte dalla possibilità di ottenere risultati su più fronti: maggiore produttività grazie a una più attenta gestione dei metodi di coltivazione, una migliore relazione con le comunità locali, un maggiore brand value sui mercati finali.