A chi interessano gli aeroporti italiani
Tutti concordano sul fatto che il settore aeroportuale abbia bisogno di un piano, cioè di un insieme di decisioni assunte avendo come criterio non l'interesse particolare ma del sistema nel suo insieme, e che sia necessario differenziare tra loro gli aeroporti, come peraltro già prevede la normativa: alcuni svolgono una funzione essenziale per l'intero Paese e devono essere sottoposti alla competenza esclusiva dello Stato; altri svolgono un servizio al proprio territorio e devono essere sottoposti alla competenza prevalente delle Regioni. Sotto il profilo tecnico non è difficile operare questa distinzione, la difficoltà sta nel far accettare le conseguenze di questa scelta: gli aeroporti che non sono di interesse nazionale non potranno più contare sugli investimenti e sui trasferimenti dello Stato per coprire i propri costi, ma su risorse proprie e delle comunità locali da essi servite.
Il tempo, tuttavia, non è trascorso invano: la versione del piano presentata a gennaio da Maurizio Lupi contiene un decisivo elemento di novità: il territorio nazionale è stato ripartito in 10 bacini di traffico e per ciascuno è stato identificato un aeroporto strategico, raggiungibile al massimo in 2 ore di auto. Questo criterio ribalta la logica precedente, centrata sulle caratteristiche degli scali, e mette al centro la loro funzione, che è servire un proprio bacino d'utenza, garantendo a tutto il territorio nazionale l'accessibilità aerea mediante uno di questi scali. Solo il bacino Centro-Nord è dotato di due aeroporti strategici, Bologna e Pisa-Firenze, "in considerazione delle caratteristiche morfologiche del territorio - si legge nel Piano - e della dimensione degli scali e a condizione che si realizzi la piena integrazione societaria e industriale tra gli scali di Pisa e Firenze".
Identificati così gli 11 aeroporti strategici, il Piano indica che tutti gli altri aeroporti possono essere considerati di interesse nazionale, purché si realizzino due condizioni: la prima è "che l'aeroporto sia in grado di esercitare un ruolo ben definito all'interno del bacino, con una sostanziale specializzazione dello scalo"; la seconda, "che l'aeroporto sia in grado di dimostrare il raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario, anche a tendere, purché in un arco temporale ragionevole". Entrambe le condizioni andranno verificate mediante un piano industriale economico e finanziario, sottoposto ad approvazione e verifica periodica del Ministero e dell'Enac.
Questa impostazione appare molto pragmatica, perché, mentre si mostra flessibile sul fatto che un aeroporto possa essere dichiarato d'interesse nazionale, chiarisce che anche in questo caso la sua gestione dovrà raggiungere l'equilibrio economico finanziario; inoltre, la dichiarazione d'interesse nazionale comporterà l'assoggettamento al controllo del Ministero anche per gli aspetti gestionali non direttamente connessi alla regolazione del volo e alla sicurezza. In altri termini, il titolo di aeroporto d'interesse nazionale non porterà soldi ma controlli: senza dubbio, i responsabili dei governi locali, magari dopo una doverosa difesa di ufficio, sapranno valutare realisticamente oneri e onori della scelta.
Il piano, sempre che ottenga il parere favorevole della Conferenza Stato-Regioni e sia approvato dal Consiglio dei Ministri, lancia una forte sfida al settore delle gestioni aeroportuali: occorre trovare condizioni strutturali di equilibrio economico finanziario. Ciò richiederà in molti casi una profonda riorganizzazione, resa possibile dalla semplificazione delle normative, ma anche di sviluppare un dialogo con tutti gli attori del territorio finalizzato a comprendere, al là di ogni retorica, a cosa serve l'aeroporto e quindi chi lo deve pagare.