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Chi inquina paga. Se è assicurato

, di Fabio Todesco
L'attuazione della direttiva europea sul rischio ambientale deve assegnare un ruolo alle assicurazioni per cogliere un'occasione di efficienza. Ma alcuni impianti sono tanto rischiosi da spaventare le assicurazioni

Una legge che introducesse l’obbligatorietà, per le imprese, dell’assicurazione contro i danni ambientali da inquinamento sembrerebbe manna dal cielo per il sistema assicurativo. E invece, a sentir solo formulare l’ipotesi, le compagnie europee storcono il naso. Secondo loro, il rischio di inquinamento rappresentato da alcuni impianti è talmente alto da non essere assicurabile. E se questo è un problema per le compagnie, è sicuramente un problema ancora più grande per l’ambiente.

“Eppure il dibattito sull’attuazione in Italia della direttiva europea 2004/35 sulla responsabilità ambientale è un’opportunità da non perdere per assegnare anche al sistema assicurativo un ruolo importante nella gestione del rischio di inquinamento”, sostiene Alberto Monti, giurista dell’Università Bocconi.

La direttiva, ribadendo il principio secondo cui chi inquina paga (non solo i danni ai terzi, come accade già ora, ma anche il danno all’ambiente in sé considerato e il ripristino e la messa in sicurezza delle aree proprie dell’inquinatore), lascia ampia discrezione agli stati membri su come prevenire i rischi e garantire l’effettivo pagamento dei danni da parte di chi li ha procurati. Si fa riferimento agli strumenti di copertura finanziaria e assicurativa, ma senza accennare a nessun genere di obbligatorietà.

“Il pregio principale dello strumento assicurativo è proprio quello di garantire la solvibilità dei responsabili”, sostiene Monti, “per danni che possono facilmente toccare le decine di milioni di euro, in caso di contaminazione diffusa, ma ci sono anche vantaggi per le imprese, che lo possono vedere come un efficace strumento di gestione del rischio e persino di marketing. E invece, nelle bozze di attuazione della direttiva in Italia, delle quali si discute in queste settimane, la parte assicurativa non è compresa. A mio parere si sta perdendo un’occasione importante”.

Il mercato delle assicurazioni contro l’inquinamento è già vivo, in Italia, ma copre solo alcune delle diverse tipologie di danni cagionati dall’inquinamento . Le società del settore sono riunite in un Pool Rc inquinamento attivo dal 1979 e raccolgono premi per un valore che può essere stimato in oltre 20 milioni di euro l’anno. Negli ultimi tempi assistono però alla calata di operatori stranieri, soprattutto americani, che si appropriano di quote di mercato con una politica di mercato molto aggressiva.

La loro opposizione all’obbligatorietà dell’assicurazione è dovuta tra l’altro alla presenza, sul territorio, di impianti che presentano rischi tali da non poter essere ragionevolmente assicurati. Se l’obbligo fosse bilaterale (sia per l’impianto, sia per le compagnie), gli assicuratori si troverebbero a dover chiedere a questi operatori premi troppo alti per essere sostenibili. Se l’obbligo fosse unilaterale (solo per gli impianti), le compagnie rifiuterebbero di coprire i rischi delle imprese più pericolose. In entrambi i casi, finirebbero per svolgere un ruolo di selezione all’accesso delle imprese al mercato produttivo, che non rientra nei loro compiti e nelle loro competenze istituzionali.

Questo approfondimento è collegato al Focus Ambiente, amministrazioni ancora poco trasparenti