Chi abbandona l'Italia
Negli ultimi decenni è stata posta forte enfasi sui benefici delle migrazioni interne ai paesi sviluppati. Poiché i lavoratori tendono a spostarsi là dove maggiore è la loro produttività, un aumento della mobilità interna dovrebbe agevolare l'incontro fra domanda e offerta di lavoro e, da un punto di vista macroeconomico, ridurre le disparità territoriali e aumentare l'efficienza aggregata. Infatti, la mobilità geografica del lavoro è una delle condizioni necessarie per la costituzione di un'area valutaria comune. Inoltre, la circolazione della forza lavoro facilita lo scambio di conoscenze fra paesi e, a livello individuale, accresce il capitale umano (ad esempio, le competenze linguistiche). Sul piano pratico, queste considerazioni hanno fortemente informato l'architettura istituzionale europea al momento della sua costruzione, pur nella consapevolezza che in Europa i flussi migratori fossero relativamente modesti. In questa prospettiva, la ripresa della mobilità interna all'Europa durante la Grande Recessione deve essere salutata con favore.
Tuttavia, un giudizio equilibrato deve anche riconoscere alcuni limiti dei meccanismi di aggiustamento automatico che si affidano alla mobilità del lavoro. Una prima osservazione riguarda le disparità regionali. I flussi migratori potrebbero condannare i paesi/le aree di emigrazione a una permanente perdita di tessuto produttivo. Inoltre, questi esiti negativi sono acuiti dal fatto che lavoratori più istruiti, più giovani, più motivati hanno generalmente tassi di mobilità superiori. Ciò implica un progressivo depauperamento della componente migliore della forza lavoro, con possibili conseguenze di lungo periodo. Nell'immediato, i paesi di emigrazione stanno destinando risorse alla formazione di forza lavoro della quale si avvantaggiano altri paesi. A sostanziare questa preoccupazione si noti che la percentuale di migranti interni all'Europa con istruzione universitaria è passata dal 27% nel periodo 2004-2008 al 41% nel 2009-2013.
Il dato evidenzia un divario geografico fra domanda e offerta di competenze, almeno in parte colmato dalla (maggiore) mobilità interna dei lavoratori con elevati livelli d'istruzione e qualifiche professionali. Secondo una posizione pressoché unanime, questo porta a una riduzione del fenomeno della sovra-qualificazione professionale. Coerentemente, la riduzione delle barriere alla mobilità dei lavoratori qualificati è parte integrante della strategia Europa 2020 per combattere l'over-qualification. Tuttavia, anche questo punto va qualificato. In uno studio del 2013 dimostro che la minor incidenza di sovra-qualificazione professionale fra gli immigrati interni è attribuibile a un problema di variabili omesse: lo studio documenta che i laureati che abbandonano la propria regione di origine per essere impiegati in lavori scarsamente qualificati sono più che semplice aneddotica.
È venuto il momento di trovare un giusto compromesso fra l'esaltazione acritica delle virtù benefiche della migrazione interna e la sempre maggior chiusura nei confronti dei flussi migratori internazionali.